Sei qui: Gourmettoria Il nuovissimo Vibrazioni di Terry Giacomello, miracoli di tecnica e cervello intorno a piatti inesplorati | Inkiostro
un'idea di: Marco Salicini
E’ una cucina che potremmo trovare in Perù, sul monte dell’Himalaya e tra le pareti scure e minimaliste di una struttura a ridosso dell’ingresso autostradale di Parma. La fortuna vuole, per noi emiliani, che lo chef Terry Giacomello da quasi sei anni operi proprio all’interno del complesso della patron Francesca Poli, tra ampie vetrate trasparenti, toni in chiaroscuro e opere d’arte moderna. Quello che ogni anno lo chef friulano sta portando alla cucina contemporanea non ha precedenti ne simili. Il menù di Giacomello è impossibile da imitare e proprio per questo comporta un’esperienza unica e assolutistica che va seguita ad ogni passo, ad ogni cambio della carta, dove non sai mai cosa aspettarti. L’importanza del viaggio assume un valore deontologico sconfinato e irraggiungibile, il diagramma di contenuti multietnici ed extraterritoriale mixato attraverso una propositività titanica ed emozionante va al di là di ciò che è intesa come ispirazione o apprendimento. Tutto quello che lo chef ha notato, assimilato e custodito dai più grandi interpreti mondiali dei vari continenti (Ferran Andrià su tutti ma l’elenco è virtuoso e comprende anche Veyrat, Redzepi, Atala, Andoni Luis Aduriz, Roses, Helena Rizzo) lo ha trasformato attraverso una personalità individualista e profondamente sottile, maniacale e minuziosa dei dettagli e dei particolari, rovesciati nel ruolo e qui all’Inkiostro inattendibili protagonisti del piatto a discapito di ciò che comunemente è concepito come ingrediente basilare. Oltre il quinto quarto e all’umami, oltre al chilometro zero, oltre all’indice sequenziale delle voci, sofisticatamente sviluppato rispetto a tutto ciò che comunemente è utilizzato per ottenere un determinato ingrediente.
Terry Giacomello è un mostro di tecnica : le procedure e gli strumenti utilizzati per raggiungere l’elenco dei suoi menù a degustazione derivano, oltre che da una stratosferica padronanza, da una conoscenza scientifica per un numero incalcolabile di alimenti, radici, vegetali e ingredienti e ciò che una volta terminato l’assaggio è perfettamente inappuntabile si riscontra proprio nella definizione magistrale di ogni consistenza, temperatura o cottura seguita da una digeribilità ultraterrena.
Lo chef rende edibile e gastronomico tutto ciò che non lo è, si spinge molto più in là di qualche fantasiosa destrutturazione, personalizza un modus operandi molto serio come l’antispreco e il recupero degli scarti a costo di lavorarci scrupolosamente addirittura un anno. Ma l’obiettivo lo raggiunge.
Nell’ultimo e freschissimo Vibrazioni, scandito da quindici portate più benvenuto e pasticceria, il timbro estremista, analitico e inedito ovviamente continua a mutare rispetto al precedente, applicando un’enfasi gustativa su 4-5 piatti probabilmente inedita fino ad ora : se alcuni di essi difatti sono molto più ammaestrabili e rotondeggianti, non è di certo un passo indietro o una mossa strategica ma bensì lo traduco come un grandissimo risultato che è riuscito a ottenere, quello di mantenere impermeabile e pungente la propria firma senza dover per forza solcare gli angoli bui del palato; la tecnica al servizio della gustosità.
L’humor , intelligentemente fine, espresso da qualche impiattamento (ovviamente al di fuori dell’ordinario) è parte integrante di un atteggiamento signorile. Se da un lato è inevitabile che per sedersi all’Inkiostro bisogna essere dei curiosi open minder, dall’altro non è così scontato mettere in scena un volto un po’ gioioso e sdrammatizzante di un lavoro così occulto, laborioso e minuzioso del dietro le quinte.
Il salto nel vuoto estemporaneo, intensificante, complesso spalanca percezioni e sensazioni uniche e inedite. “Ceci” risiedono nella riduzione, circondata da perlage di pasta di sesamo bianca “impostore” del piatto. “Fungo glacialis” è un’immersione empireumatica, terrosa e boschiva : funghi porcini della Val di Taro, granita tagliata a fetta, distillato di muschio (congelato e decongelato) e acqua, per un sentore minerale frozen cosparso su una texture dalla sfidante decifrabilità. “Mangiando ossa” è colto dall’asàrotos òikos di Aquileia, il celebre pavimento non spazzato della Domus dei Fondi Cossar : distesa di ossa, lische e altri resti di un banchetto, sparpagliati a terra. Cuore di palma in sottovuoto e cotto a vapore nel burro chiarificato, poi raffreddato conservato e rigenerato al momento del servizio in forno sempre sottovuoto. L’ osso liofilizzato e fatto col brodo di pollo diventa friabile appuntando una consistenza sabbiosa, quasi spumino : un procedimento stremante raggiunto dopo più tentativi nel laboratorio di Cuneo. Viene quindi scaldato il jus di pollo con acqua e burro di cacao, in aggiunta la gelatina e amalgamata con frullatore ad immersione poi filtrata e viene quindi utilizzato il sifone, si utilizzano gli stampi si abbatte e si mette a liofilizzare prima di conservarla nel disidratatore. Ciò che materialmente è connesso all’osso, in realtà sta proprio nella parte liquida : la salsa è di ossobuco. Pasta “scotta” è un ulteriore controsenso : i fusilli dalla tempra dilavata, in realtà sono tendine di vitello rifilati, inteneriti in pentola a pressione, salsa all’olio d’oliva, peperocino piccante (a ricordare l’aglio-olio), fiori di aglio, fiori di Tulbaghia e aglio Laba ; ne deriva un effetto insolitamente flessibile, a primo impatto gommoso ma immediatamente scioglievole e consensualmente rinforzato dalle nuances della salsa.
Il piatto – spinto – che ha fatto prendere il volo è l’omaggio al Friuli : pannocchia di granoturco ricavata dall’acqua del mais, il carbone del mais invece è il risultato del nero emanato dai chicchi quando si gonfiano, censurandone il colore. Una prassi totalmente inedita in Italia, visto che la parte carbonizzata viene utilizzata in Sud America. Giacomello ne ricava una salsa di Huitlacoche e Morchia rifinita con burro bruciato e polenta, si gioca tanto su un andirivieni di dolcezza e temperature. L’effetto è abbagliante quando si assaggia la pannocchia – quasi pastosa alla consistenza – unita alla salsa tant’è formidabile la pulizia . Spinta anche la tartare di pluma di carne di maiale, gelato al worcester e fondo di maiale : sferzate fondenti e coagulate in cui oscillano contrasti sul salato e l'amaricante, ficcanti passaggi di temperatura. Di tutt'altro genere è il rotolo di spaghetto con bottarga di albicocca da cui emerge un intrigante utilizzo della dolcezza e dell'aromaticità.
Chiude il cerchio di tutto ciò che abbiamo percepito come avanguardia sfrenata, l’omaggio all’opera “Comedian” di Maurizio Cattelan e al gesto di Datuna che fece scalpore. La buccia di banana diventa edibile : si estrae la polpa frullandola, tramutandola in aceto e poi gel (aggiungendo acqua, zucchero, pasta madre e poi fermentata) viene addizionata con polvere e succo di banana per farcire la buccia, osmotizzata. Il nastro è in realtà una cialda di torrone e incalza un ruolo al gusto molto più che secondario ma infine, deterge la bocca preparandola al dessert.
Al cospetto, figurano piatti molto più rilassanti come intervallo ma attenzione non è mai un break fuori dagli schemi delle Vibrazioni dell’Inkiostro. Il percorso parte con sapori emiliani : “Parma” è il biscotto 2020 in omaggio alla città, sablé al parmigiano, cremoso all’aceto balsamico da pucciare sul cappuccino al nocino (senza uova), sprigionando fortemente tutto l’umami delle nostre terre, come avviene nel benvenuto, tanto forte e gustoso il bombolone ripieno di coda vaccinara quanto incredibilmente detergente la treccia di Parmigiano con il suo siero, un connubio di delicatezza e sapidità . Le contaminazioni fanno sempre parte di un patrimonio culturale infinito, vengono allineate e congiunte laboriosamente concretizzando un’efficacia inverosimilmente comprensibile : dal Brasile e dal Sud America gli arilli gialli di Ackee, riduzione di crostacei, olio alla radice di Priprioca e foglie di Tagete limonato acquisiscono uno sperticato gusto salmastro, il virtuoso ego muscoloso dell’astice coadiuvato dalle tre salse per un focus orientale : la salsa verde con ceviche, brodo dashi (tonnetto affumicato) e alga nori, la salsa bianca con il doburoku (che sta all’ origine dei saké, macerazione di acqua e chicchi di riso allo stato grezzo)e la salsa rossa semi di annatto, foglie di kefir e lime. Anche l’intro è un richiamo all’oriente, il tofu di midollo in brodo thai con zenzero e miso di papavero offre notevoli punte speziate al palato, acclimatate da un gel colloso ad intubare un ricco elisir di collagene. Il germoglio di zenzero con shropshire blue è un connubio da meditazione in cui regna l’armonia, comparando un lieve sentore dolciastro a una plusvalenza vegetale.
Quando citavo break più accomodanti mi riferivo anche al Terry Burger, pane non pane composto da albume d’uovo, colla di pesce e un polisaccaride che lo rende “marschmallow”, siero del Parmigiano Reggiano, hamburger di pomodoro marinato nella salsa di soia e nel caffè, lattuga essiccata; insomma in bocca si intercetta tutto ciò che può essere riconducibile all’hamburger ma è la solita geniale simulazione.
"La mia millefoglie" : spuma di sfoglia tostata, polvere di crema pasticcera e trasparenze di foglie caramellate con cicchetto di gin,uova e vaniglia ad aggiungere lattosità e freschezza, assorbe attraverso una sobria dolcezza e una pennellata di eleganza un’imparagonabile batteria di percezioni ed è splendida l’elaborata pasticceria sempre in omaggio a Parma capitale della cultura.
Abbondante la varietà dei pani : focaccia all’italiana, grissini lisci al burro e intrecciati al mais, pagnotta calda lievito madre, sfogliatelle al burro e quell’impronta spavalda e gustosa donata dal grasso rancido di prosciutto da sgocciolare sui crackers fatti in casa, importante e redarguita su annate intriganti e tanto estero la cantina che conta 900 etichette e che è ammirabile al pian terreno, protetta da vetrate moderne che ricordano quelle di un museo. E tutto il lavoro che Giacomello in questi anni sta mostrando alla cucina contemporanea è proprio destinato ad entrare in un museo, unicamente creativo – tecnologico e distante dalle altre personalità in azione su tutto lo Stivale. Consapevoli che il prossimo menù sarà un altro grande passo.
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