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un'idea di: Marco Salicini

 

sfondo

Per anni, per molti anni, è stato il locale più raffinato di Bologna, il più celebre, il più prestigioso. Un mito per tanti clienti italiani e stranieri. Un sogno proibito per qualche ristoratore che non è riuscito a farlo suo. Perfino l’inconfondibile insegna metallica è sempre stata un oggetto del desiderio : fu rubata almeno due volte. Prima l’originale, poi la copia. Il Pappagallo è un monumento, a sé stesso, alla storia della ristorazione e alla nostra cultura gastronomica.
Non c’era dunque bisogno di aspettare l’uscita della prima guida Michelin in edizione italiana, nel 1956, per scoprire che in Piazza della Mercanzia c’era il migliore ristorante di Bologna.
(Mauro Bassini, 2020. Qui era tutta Lasagna – Volti e storie di ristoranti nella Bologna di oggi. Bologna : Minerva. Pag 33)

 

 

In più occasioni siamo stati attivisti al centro delle cronache della rinascita del Pappagallo. Alla faccia di chi ha tentato di spegnere il fuoco dei ristoratori con decreti e ristori alquanto discutibili, torniamo non solo in uno dei ristoranti più nobili e prestigiosi della città : ne approfittiamo per ricordare quanto un ristorante sia un veicolo culturale in prima linea. Chi meglio del Pappagallo può saperlo? Monumento e pietra miliare di Bologna, punto di riferimento agli occhi dei turisti e degli stranieri di tutto il mondo; uno di quei locali in cui ci si soffermava per ammirare l’en plein della bellezza del centro storico ma anche per cambiare il volto e il destino di una città, se non di un Paese, intorno a un tavolo apparecchiato da lasagne, tortellini, tagliatelle, filetti e cotolette. Oppure per elevare il pregio di una città, in cui frequentemente sfilavano Hitchcock, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Einstein, Tognazzi e Sharon Stone e la lista potrebbe continuare ad occupare altre righe. Ciò che è stato e ha significato il Pappagallo per Bologna e viceversa, i due attuali imprenditori titolari ne sono consapevoli, ci pensano probabilmente ogni giorno. Michele Pettinicchio ed Elisabetta Valenti hanno intrapreso un’avventura più lunga e difficile di quanto già non lo fosse di partenza. Erano troppi anni che al ristorante di Piazza della Mercanzia era rimasta solo la gloria passata e nell’aria, il rischio di una possibile e irreparabile decadence era un sentore minatorio.

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Il benvenuto bolognese alla Pappagallo e il pane del Forno Brisa

Il primo punto del progetto di rinascita si è focalizzato proprio sul recupero del passato, studiandone i progressi ed i processi che ne hanno decretato un successo sconfinato, analizzando come contestualizzarlo ai giorni nostri improntandone il rilancio. Lode e riconoscenza a ciò che è stato ha chiamato all’azione i due proprietari, che ne hanno recuperato i ricettari storici e autoctoni degli Zurla, organizzato serate a tema in occasione del centenario, appeso alle pareti le foto originali dell’epoca, ridato vita pure a quella Torre Alberici che meritava di risorgere tra gli edifici più imponenti e medievali del centro storico. Un’avventura tanto romantica quanto coraggiosissima che oltre a richiedere tempi, investimento e infinita ponderatezza, aveva bisogno di riconquistare una clientela complicatissima come quella bolognese e senza vergognarsi nel dirlo, accogliere decorosamente i turisti.
Come se non bastasse sul più bello, ai postumi dei festeggiamenti per le cento candeline, l’inaugurazione della nuova Torre Alberici ridisegnata come osteria e punto d’incontro per aperitivi gourmet e di quel Tortellino d’Oro conquistato dalla critica nel 2019, si è intromesso il diavolo coronavirus. Come ben scrive Bassini : “ In tempi difficili Pettinicchio continua a investire sul ristorante più glorioso di Bologna. Merita attenzione e rispetto”. Immaginatevi voi, a fronte di un investimento così recente e di tale spessore, ritrovare una città deserta dagli stranieri e tentare di salvare il salvabile strutturando dal giorno alla notte un delivery così distante e complicato dalla realtà di questo locale; piuttosto che aprire un immobile così imponente e oneroso dal giorno alla notte senza il necessario preavviso, per poi riabbassare le serrande, tentare di ibernare un giovane e predisposto staff di sala e di cucina per non dover ricominciare da zero e di gestire quotidianamente costi elevatissimi.

Un’odissea dalla quale tanti ristoratori sono riusciti e stanno tentando di sopravvivere senza troppe certezze sul domani ma con quell’amor proprio e dedizione indispensabili per il futuro di una città che stava per darsi lo slancio e alzare finalmente l’asticella international. Oggi con una buona parte di clienti ben disposti a vivere e socializzare intorno a un tavolo e con un turismo numericamente astratto, il Pappagallo ha tantissime motivazioni per continuare a risplendere.

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Gamberi al lime / Vitello Tonnato / Bon bon di Foie Gras

L’assetto è tornato quello del pre covid : classico, glamour e liberty, doverosamente ristorante, doverosamente internazionale, in un menù radicato indubbiamente sui capisaldi da copyright alla Pappagallo, con tematiche e geometrie d’antan evolute in accortezze in fase di cottura e materie prime di ottima qualità. Il “trucco” di quel tortellino piccolissimo che ha portato Pettinicchio in cima al podio due anni fa, non viene svelato : nei brodi ma soprattutto nelle creme, ci sono sfumature enigmatiche e strategiche studiate a menadito. Un tuffo temporale continuo tra passato e presente. Pettinicchio d’altronde non si vergogna a definirsi cuoco e test man della cucina, dove passa la maggior parte delle sue ore con i suoi ragazzi per assaggiare e ragionare se un piatto può conformarsi all’unisono con l’atmosfera e l’emisfero del Pappagallo. “Alcuni piatti me li sogno alla notte, poi non ci dormo su. Ovviamente mi confronto sempre con la cucina, l’importante è che emergano al massimo, non per il piacere del sottoscritto ma per l’onnipotenza che esercita questa insegna”. Marcello Leoni sta dando continuità alla sua direzione : un repertorio di tutto rispetto da parte di chi qui a Bologna conquistò una stella Michelin indimenticabile al Sole di Trebbo di Reno, esportando i caratteri della nostra cucina anche all’estero e in altre città. D’altronde al debutto del suo primo menù degustazione non si nascose di svelare la finalità del suo compito : portare profondità a una cucina tradizionale. Un intento che ha ritrovato pienamente la sua marcia, riuscendo a creare una linea efficiente su un menù parecchio ingombrante e impegnativo : Pettinicchio e Leoni non hanno ridotto di una virgola una carta che come i grandi ristoranti bolognesi dei mitologici “anni d’oro” inglobava tradizione, carni, pesci, vegetali e creatività. Il rischio di disperdersi è dietro l’angolo, per non parlare dei pregiudizi che può creare un menù a più voci sfogliato dinanzi alla scenografia più suggestiva ed emblematica del centro bolognese. Paradossalmente e ammirabilmente non vi è il minimo strascico di Covid : la cucina continua a credere e puntare sulla qualità delle materie prime, lo sveliamo fin da subito che oltre all’incontestabile comunicatività dei sapori e degli ingredienti, sempre offerti alle temperature più attinenti, è incredibile la digeribilità percepita il mattino seguente a una degustazione più che completa (con abbinamenti vini annessi). Oltre a ciò ci si può buttare a colpo sicuro su tutti quei topic esterni ai bestseller da colpo sicuro – e non è poco per tutte le vicissitudini elencate dall’inizio alla fine, riportare la cucina tradizionale ad alti livelli in un luogo come questo. Restando in tema, menzioniamo la fluidità e il senso d’appartenenza che hanno accumulato i ragazzi di sala, attenti e professionali senza esasperare in eccessi (alla lunga sfiancanti) di bon ton e assistenza in servizio. E’ stata amplificata la cantina (ricarichi molto importanti); la sinergia con Filippo Gaddoni (per lunghi anni al San Domenico di Imola che col Pappagallo mantiene un intreccio indissolubile) ha portato risultati importanti : il territorio compare in prima linea attraverso produttori spronati con impeto e galvanizzati esibendo le annate migliori, la sezione dedicata agli champagne rimane blasonata e non banale, il focus sui riesling e pinot nero mostra un grande lavoro e per i grandi gourmand, la collezione del Pappagallo con Sassicaia, Amarone, Barbaresco e Barolo dal 2009 al 2015 conclude una programmazione illustre.

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Tortellini al mignolo in doppio brodo di cappone / Tagliatelle al ragù tradizionale bolognese / Tortelloni di ricotta con stracciatella e filetti di pomodoro fresco

 

E’ un altro risultato quasi definitivo, da pieni voti, il benvenuto che in sei bocconi, sintetizza l’emisfero gastronomico bolognese raggruppando in un rapido e appetitoso cabaret di assaggi il timbro stilistico della cucina : polpettina di crudo di fassona della Macelleria Martini in insalata e spuma di Parmigiano, galantina bolognese con zabaione salato e coriandoli di giardiniera, chiacchiera con spuma di mortadella e pistacchi, raviolo al ragù, insalatina di bollito in polpetta con porro, tortellino fritto spuma di parmigiano e mostarda ; da evidenziare e premiare la cura concentrata su ogni singolo elemento, guizzante di sapidità, croccantezza, dolcezza quando dev’esserci, braccando il palato senza alcuna timidezza e anonimia. Attento, delicato e concordante il gambero al lime su salsa al pomodoro arrostito, insalatina a rinfrescare e crumble a tostare per un leggero accompagnamento al carapace (dalle tinte e temperature precise) su un andirivieni rancido, citrico, dolce e fumé in sottofondo. Il vitello tonnato esterna i primi flussi di un Piemonte ( Pettinicchio è torinese di nascita ma bolognese d’adozione ndr) inserito con affetto e senza confusione, soprattutto nella scelta e nella lavorazioni delle carni. Presentazione difatti moderna e girello lodevolissimo per il suo strato rosato, ammorbidente, fresco e scioglievole su cui si presta una salsa equilibrata e non troppo acida, più capperi : in primis la materia prima, echeggiante. Il piatto che già da solo vale la cena è il bon bon di foie gras, salsa all’albana, cioccolato fondente e limone : una volee splendidamente d’antan, in cui riecheggia tutta la classe del Leoni al Trigabolo dei Corelli e Barbieri, intensificata in un piatto dall’irreversibile possenza, saporosità, persistenza, persuadendo palato & anima. Prima l’abisso gustativo tra il foie gras e la salsa, corroborante, all’albana, la nuance fondente e il taglio del limone a riprendere. “ Molte cotture moderne non le percepisco. Roner e bolliture non vanno applicate allo sfinimento, esclusivamente solo se necessario. Avvertire Il polso del cuoco in cottura è indispensabile “ accenna Pettinicchio. E poi è indispensabile soffermarsi sulle paste : al di là dell’elogiato tortellino, la sfoglia sottile e così tattile ai bordi è frutto dell’arte propedeutica del team di sfogline direttamente dal Lab del Pappagallo. Un bonus enorme esserci arrivati e ribattiamo ancora una volta quanto in una struttura di questo tipo – affacciata tra Piazza della Mercanzia, le Due Torri e Santo Stefano – basti un attimo abusare dei turisti e sparigliare paste surgelate. Merito sempre di chi rispetta e sa cuocere la pasta : il cuore espansivo, cremoso ma al contempo fine del tortellone potrebbe anche non aver bisogno della dolcezza della burrata e dei filetti di pomodoro estivi del Tavoliere delle Puglie, potrebbe restare anche asciutto, appena scolato per esprimere l’ideale della bolognesità. Interpretata con ammirazione, attenzione e rispetto la tagliatella al ragù che in servizio è già condita al parmigiano - etichetta emiliana e campanilista di Leoni. 

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Spaghetti alla chitarra pomodoro, basilico, olive taggiasche e gamberi rossi di Mazara e Burrata / Il petto d'anatra / Cuore di baccalà su crema di caprino al timo

L’artigianalità è un filo conduttore continuo confermato anche nella geometria e nella nitidezza dello spaghetto alla chitarra pomodoro, basilico, olive taggiasche con – a parte – burrata e gamberi rossi di Mazara (si sbalza un po’ nell’epanadiplosi degli ingredienti). Nei secondi piatti predomina ancora la superlativa cotoletta  a cui la cucina rispetto agli esordi della nuova proprietà ha estirpato un po’ di asciuttezza, emulsionandone una cremosità non invasiva e al contempo fiscale sul taglio del prosciutto e il dosaggio del parmigiano. Bel potenziale anche per il petto d’anatra in salsa al brandy, patate Anna e bon bon di foie gras che già ha raggiunto un’armonia non da poco, fornendo un altro assist su quel richiamo alla scuola francaise nell’eleganza delle salse, delle testure e dell’utilizzo del burro. Qualità maestosa del petto, leggermente troppo rosé e dalla salsa un filo troppo addensata. Il cuore di baccalà, che in altre versioni il Pappagallo ha dimostrato di saper trattare e valorizzare è avvolto da una salsa al caprino e timo centrando bene il corpo aromatico, probabilmente va proporzionata rispetto al baccalà, come in altre portate ben è stato fatto.

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La cotoletta di vitello alla bolognese con friggione al campari / Il tortino di mele con crema chantilly, mele caramellate e gelato alla crema / Gelato al Wasabi 

 

Dessert tutti di buon livello, buonissimo il tiramisù scomposto, appassionanti i cucchiai : dal gelato alla crema mantecato ad hoc con aceto balsamico tradizionale stravecchio, al gelato al wasabi ricoperto, per un doppio caldo-freddo, da una spuma tiepida al cioccolato che prende per la gola. Liquori invecchiati, cocktails liturgici e aperitivi musicali con vinili da collezione incorniciano una Bologna vogliosa di mantenere alto il suo splendore; d’altronde siamo in un punto della città che incanta, emoziona a rapisce lo stupore di tutti i passanti, siamo sempre al Pappagallo.

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