Sei qui: Gourmettoria La bellezza che trapassa i secoli : al Viandante, una villa da sogno e la cucina di Malpeli lascia gioire | Osteria del Viandante
un'idea di: Marco Salicini
E’ emanato il bello, all’interno dell’Osteria del Viandante di Rubiera, una delle novità più fresche e sulla bocca dei gastronautici non solo emiliani. Ed è oramai una corrente identificativa, influente, quasi rinascimentale quella progettata dalle menti di Massimo Bottura & Marco Bizzarri, CEO di Gucci che con Bottura ha ritoccato i canoni stilistici internazionali delle Gucci Osteria, esportando un made in Italy “fashion” mixando arte, moda, cultura proiettando un modello di interscambio culturale gastronomico visionario predisposto al contatto.
Gli affluenti di un progetto che sta conquistando tutto il mondo (da Palazzo della Mercanzia a Firenze, Los Angeles e Tokyo) sono a Gabicce Monte, interpretato dal restyling della Gioconda (che è piaciuta assai quest’estate e si candida ad essere il locale dell’estate 2022 in riviera) che Bizzarri stesso ha affidato allo storico sous chef dell’ Osteria Francescana, Davide Di Fabio e recentemente anche qui al Viandante. L’impronta si replica nel centro della graziosa Rubiera, affidandosi all’under 40 Jacopo Malpeli che non fa parte della cantera botturiana ma che da sempre ha brillato in Emilia, mostrando una personalità non indifferente e quella filosofia raggiante nel saper dove toccare le corde giuste per progredire la storia, il classico, le radici culinarie, senza mai incrinare in pendenza un piedistallo immesso nella genesi del territorio. Dopo l’Alma, il tragitto parmense : una tavola mastodontica quale il Stella d’Oro (Soragna), l’Inkiostro del pre Giacomello, la Peppina (favola ahimé fin troppo breve) e alla Locanda Mariella, per circa un anno (e nel bolognese conta un’esperienza flash come sommelier al Sole di Trebbo). Al suo fianco l’amico di sempre Leonardo Giribaldi (reduce dalla consulenza per Real Group) con cui condivide una passione smisurata e atipica (se parliamo di cuochi) per l’enologia all’avanguardia mentre in sala agisce il bravissimo André Joao Cunha Fiaes ( sommelier al Margot & all’Anima Restaurant di Londra prima del suo rientro in Italia) assieme all’affabile e premuroso Mauro Rizzi, unico discendente dalla passata gestione.
A manovrare i fili di un locale che ricalca appieno i tratti più caratteristici appena descritti (c’è l’anima geneticamente vintage e innata profusa nell’eleganza rispettosa e galante dei nuovi infissi per gli esterni a dialogare con gli interni in legno cerato)é il sommelier Bizzarri Jr : tre salette di gran classe, tavole rotonde e lunghe tovaglie bianche, pavimenti in cotto a scacchi, rose – rami e rapaci negli affreschi e tra abat jour & lampadari chic, poltrone in pelle, l’atmosfera è quella di un habitat casalingo d’alto borgo, merito di un opera di restauro manuale e maniacale in grado di far riemergere con grazia e raffinatezza quell’energia d’antan capace di abbattere muri secolari . Classe e bellezza strabilianti si esibiscono nell’ampia terrazza estiva con balconata a strapiombo sulla piazza della graziosissima Rubiera e gli altri ambienti da scoprire, come la sala conviviale apparecchiata con una giostra di vini & distillati e quel tavolo in legno autenticamente caldo e rustico, piuttosto che due privè romantici ed esclusivi ( l’esterno in cortile e l’interno con un vero caminetto perfettamente funzionante)
IL MENU’
Il lavoro fatto in un solo mese è da applausi a scena aperta. Cucina e staff di sala interagiscono mostrando spiccate doti professionali, attitudini e interdipendenza con il Viandante, rispettando ciò che indimenticato è stato lasciato e l’attuale imponente progresso. La carta inizialmente mostrava un’ossatura importante, inglobando puntigliosamente tutte le tipicità materiche della zona, la storia gastronomica emiliana & reggiana oltre a una sezione dedicata esclusivamente sulle carni, tra Quinto Quarto – razze & tagli internazionali – allevamenti etici. Recentemente è stata effettuata una revisione indispensabile per le capacità espressive della cucina, riducendo ad esempio le voci della salumeria, a cui rimane l’eccelsa qualità del Culatello di Zibello di Bré del Gallo di Fontanelle (stagionato 30 mesi) e la “provocatoria” versione salubre della mortadella con i pistacchi non pastorizzata e senza additivi. Sui formaggi il parmigiano reggiano stravecchio servito con l’aceto balsamico tradizionale 25 anni, la cremosità e l’intensità del Comté dello Jurà, gorgonzola e miele di castagno. La carne dicevamo, prima di raccontarvi nel dettaglio la manovra più attiva di Malpeli, con lombate di Wagyu Canegra (nato e allevato in Italia), Angus Scozzese Grass Fed, Pezzata Friulana oltre alla Vitella, l’indimenticata “Foglia” o il filetto di anteriore, cotte su una griglia che funziona eccome, fidatevi. In stagione viene presentato con orgoglio, un tartufo bianco imperiale dal profumo inebriante e profondamente persistente.
La cucina di Malpeli dicevamo, ha impiegato poche settimane a trattenersi in due menù degustazione (tradizione a 80,00 + vegetariano “orto e fantasia” a 70,00) lasciandosi andare al potentissimo “Il Cammino del Viandante” (euro 100,00) che contestualizzato alla smisurata bellezza del luogo, alle stoviglie d’artigianato luxury (timbro di tutte le Gucci’s) e a un servizio distinto e attento (ma che “ti lascia respirare al tavolo”) segna uno dei nostri migliori pasti di sempre.
Le indiscutibili doti (e predisposizioni) tecniche, denotano un’incredibile capacità di dialogare con il commensale : si ruota intorno alla sottrazione (non compaiono mai ingredienti arzigogolati, illusori o in eccesso) ad una meticolosa capacità di rendere nitido, poderoso e calcato ciò che compone il piatto, non sovrapponendo mai le materie prime né utilizzando diversivi astratti o vanitosi. Può essere questa la nuova frontiera del finedining, eccome se lo è : appagamento, concretezza, riconoscibilità e nei casi più unici, come questo, voluttà distensiva dalle mani dello chef.
Benvenuto easy e rasserenante nei due bocconi strappati dalla focaccia al farro con cipolla e rosmarino e l’erbazzone croccante. Gnocco fritto (integrale), ovviamente perfetto in frittura (croccantezza e setosità) da avvolgere col culatello, apostrofa chi siamo o da dove veniamo. La Trota Iridea – dalle montagne dell’appennino – viene leggermente marinata, appare traslucida, adamitica, raggiante dei suoi umori svettati ma anche sfumati da un delizioso agro di un gel di ananas eccelso e poi latte di cocco e a fortificare le cipolle borettane affumicate; consistenza quasi gummy ma per nulla collosa, piatto da conservare.
Portentoso slancio tecnico nell’ Astice e mandorla : l’astice scottato educatamente sulla brace abbaglia per la testurizzazione persistentemente muscolare, amabilmente masticabile, incontra la crema di mandorle amare all’agrumato dell’arancia e finissimamente viene completato da un olio al dragoncello che ne sposa i tessuti e le caratteristiche, rivelandosi probabilmente uno dei piatti dell’anno.
Invadono la gola gli gnocchi di patate, nel loro punto esistenziale di cottura, pienamente malleabili e contemporaneamente resistenti, irrorati da una crema al burro bianco corroborante e decorati con una trilogia di caviale in verticale : Riviera, Black e Oscietra a declinare un perlage tra acidità, fragranza, iodio e mineralità. Sempre ben eseguito ma leggermente più prevedibile e longilineo l’Orzotto ai Funghi Porcini di Borgotaro risottato e mantecato con olio extravergine di oliva leggermente piccante, yogurt, topinambur ed erbe di campo a distendere un retrogusto balsamico e boschivo.
Spirale gaudentemente francofona effusa dal “Foie Gras” : terrina di foie gras etico aromatizzata alla grappa (che benessere a livello di temperatura e burrosità) adiacente ad una brioche sfogliata che per tepore e friabilità rimanda alle migliori boulangerie parigine. L’insalatina di castagne, cardoncelli, melograno ed emulsione alle nocciole completano e assecondano l’insieme appuntando un totalitarismo gustativo (croccante, dolce, minerale, acidulo).
L’epicentro autunnale, rimbomba come un tuono tra le Alpi nel Cervo e Topinambur : non si può evitare di elogiare nuovamente l’acutezza in cottura, sapiente e magistrale, infallibile nell’estasiare i tessuti del filetto di cervo, contornati da un “bon bon” di delizia schiuso dal topinambur croccante cotto al forno ripieno di tartufo, nocciole e gorgonzola.
Questa capacità grafica, impressa su ogni portata, piena di struttura e identità (salse e gel cuciti su misura non per il menù ma individualmente per ogni piatto) si replica nel dolce, anticipato da un pre – desser che chiude il capitolo salato riportandoci dove avevamo iniziato, ovvero nell’orgoglio della nostra terra, di chi siamo o da dove veniamo. I cappelletti per formato, storico e ricetta sono quelli “tracciabili” di Rubiera : non è un tortellino, non è un cappelletto reggiano, nemmeno un agnolino. Vengono serviti sull’ennesima tazza di ceramica da commozione, ruotano all’interno di un brodo ben saporito nelle sue note animali (manzo e cappone) e vegetali, svincolano un ripieno evidente e pulsante, conservato segretamente nella ricetta del Forte, dell’indimenticata Maria Pia. Arrivando alla parte dolce, la Mousse di Cavolfiore e Cioccolato bianco, aka “Che cavolo di dolce” trova l’inserto del Parmigiano Reggiano nel punto giusto evitando di sbandare sulla pienezza o sulla sapidità a fine pasto, assimilando egregiamente gli elementi, come la lingua di gatto croccante al rosmarino e le gocce di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia invecchiato 50 anni. Buonissimo per il suo mix di temperatura in servizio e cremosità soda, Il Gelato – in collaborazione con la pluripremiata Cremeria Capolinea – antica ricetta con bacche di vaniglia, latte di montagna e uova dell’appennino e in aggiunta un liquore di Roteglia inesorabilmente decisivo. La Zuppa Inglese è semplicemente una delle migliori che potrete trovare in giro : un tegolino sofficissimo di pan di spagna in cui la controversa parte da protagonista è arruolata proprio dalla qualità spodestante dell’Alkermes naturale dell’Opificio Roteglia, il tenore alcolico nonostante la sua voluminosità è affievolito e sintetizzato dal topping di panna in ciotola, da aggiungere autonomamente al cucchiaio. Kiwi, pera marinata nel whiskey, torta di riso giallognola e granulosa e bigné al saba (ottimo) compongono una piccola pasticceria (servita con un buonissimo caffè) che assieme agli amouse bouche potrebbe crescere per chiudere un cerchio magnifico. Cantina atomica in continuo allestimento : 2.000 etichette e 7.000 bottiglie, il suo splendore è ammirabile al pian terreno, potrete pescare inevitabilmente (come abbiamo fatto noi) referenze e annate pressoché introvabili e concludere con attenzione da una vetrina di distillati altolocata e gaudente.
In una posizione strategica e comoda da tutti i grandi comuni limitrofi, dopo un mese L’Osteria del Viandante è già un ristorante di punta e probabilmente del futuro emiliano, un luogo che attuerà ulteriormente la sua smisurata bellezza con camere e spa, d’altronde merita una visita da ogni dove.
OSTERIA DEL VIANDANTE
Piazza Ventiquattro Maggio 15, 42048 Rubiera RE
0522260638
osteriadelviandante.com