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INTR10
un'idea di: Marco Salicini

 

mise en place

E’ come in un sogno, non sai bene né cosa né dove, circumnavighi i colli bolognesi, ti addentri nel bosco intorno a un complesso di ville d’alto borgo. Si cela in una di esse, l’home restaurant Mamo Cucina inaugurato da poco più di due mesi da tre giovani prodigi dell’enogastronomica locale. Sospeso e in silenzio, diffidente dalle mappe e dai gps (per quanto sia chiaro, richiede davvero pochi minuti di viaggio dal centro città), celato dalle sponsorizzazioni sui social. Mistico, quasi ultraterreno, eppure tanto reale, caloroso, suggestivo e ammaliante. L’ingresso sul retro si raggiunge percorrendo ripidi scalini di legno cristallizzati dal ghiaccio e dal nevischio, all’orizzonte la distesa bucolica delle nostre colline, accarezzate dall’uggiosità e dalle sfumature porpora pomeridiane dei primi giorni dell’anno.
Accoglie impeccabilmente in gilet, papillon e camicia Jacopo Stigliano, aprendo le porte, con un bon ton istintivamente educato e accogliente, di una dimora nobile dalla bellezza irreplicabile. Un’ampia sala luminosa, accende il suo mantra risucchiando il bagliore incontaminato della natura. Un massimo di sedici ospiti, esclusivamente su prenotazione online, si adagiano su meravigliosi tavoli in marmo, decorati da vasi di ceramica fioriti, stoviglie artigianali di valore, sofà in velluto più accomodanti dei letti matrimoniali di marca, il tepore del camino a vista acceso all’inizio del pasto, un pianoforte da collezione animato dalle note dello chef a fine pasto, oltre ai quadri impressi sulle cornici d’epoca tematicamente annessi alla flora e alla fauna boschiva.
Il contesto è tanto potente ed emozionante, quanto surrealisticamente vivido, familiare e concreto.

esterno sala piano camino


Questo progetto completamente fuori dai canoni e dai flussi gastronomici impostati in città è maturato da una vision comune, corrisposta dai vigneron Jacopo Stigliano, Mattia Donini (patron della dimora) e dallo chef Gian Maria Fano. I primi due fanno parte della new age enoica dei colli bolognesi: un disciplinare eretico che non esiste se non nella condizione di ripristinare un dialogo ermeneutico con la natura, recuperando vigne vecchie per riaffiorare i vitigni autoctoni recentemente dimenticati ad esempio, lavorando minuziosamente ed eticamente su ogni terreno, applicando un’agricoltura biodinamica al fine di esternare i criteri legati alla biodiversità del territorio.
Fano, dopo esperienze brillanti a Copenaghen e in altre parti del mondo, in città si è applicato ai “fornelli” di Scarto, che ahimè per troppo poco tempo è stato pioniere e apripista di tanti concetti applicati alla nuova frontiera della mixology contemporanea : ecosostenibilità, nowaste, zero sprechi, fermentazioni e macerazioni, artigianalità e riduzione degli zuccheri per ridurre quella chimica che per troppo tempo ha predominato i cocktail. Dopodiché i mesi all’Osteria del Cappello, dove lavorava con paste all’uovo tirate a mano dalla bottega autoctona, alleggerendo e sgrassando i capisaldi della cucina petroniana e infine da Sentaku Ramen Bar, dove ha potuto riprendere confidenza con le ricette orientali.
“Ho la fortuna di fare parte di una generazione che ha avuto maggiori agevolazioni a spostarsi. Al ritorno in città ho avuto la possibilità di filtrare la mia cultura con quella delle persone che ho incontrato durante i miei spostamenti. I miei due soci attuali sono come me : hanno viaggiato e hanno imparato al di fuori delle mura; siamo tornati qui con l’idea di dare un’impronta diversa al nostro territorio, nella terra delle nostre radici e delle persone che amiamo. Mamo prende questa direzione : materia prima davanti a tutto e tutti, etica nella ricerca, poco interventismo e tanta cultura; volevamo che questo progetto avesse una forte connessione con la storia. La tradizione per noi ha un significato diverso, vi faccio un esempio : la tagliatella al ragù preparata tutti i giorni con gli stessi ingredienti per noi non rappresenta la tradizione ma è vittima di una cultura industriale del dopo guerra, di una standardizzazione che non è figlia di cultura agricola. Per noi la tradizione è recuperare i tempi e le modalità : pochi spostamenti, ovvero quelli necessari per l’approvvigionamento delle materie, microstagionalità come fanno i giapponesi, fuoco e una tendenza generale a guardarsi indietro”, ci racconta Gian Maria.

biliardino mise en place 2 pane

Non vi è boriosità, provocazione o garibaldinismo in questo concept indubbiamente unconventional & indipendente, l’obiettivo ruota intorno alla proposta, spoglia da preconcetti e pregiudizi, cazzutamente volonterosa di smantellare l’approccio locale a standard restii all’evoluzione e al cambiamento.

Meno male che esistono ancora i giovani, in qualsiasi campo, che hanno qualcosa da dire e comprendono che solamente da loro, or ora, può passare il futuro di domani.
Mamo effettua solamente tre servizi, o pranzo o cena per intenderci, il weekend e il lunedì giornata cult in cui in questi primi tempi accorrono scelleratamente colleghi e professionisti del settore. Il menù vortica primariamente intorno alla materica, tanto “terroir” e km0 ma altrettanta ricerca curiosissima e ammirevole verso ciò che è comunemente in disuso: può trattarsi di selvaggina e cacciagione, di un cinghiale o di un asino, piuttosto che dei pesci azzurri, l’importante è conoscerne la natura, il nutrimento e la salubrità di ciò che è selezionato. I vegetali risaltano nel pilot dei piatti, recuperano un’indole che oramai possiamo definire antica, visto come le temperature di conservazione e le grandi distribuzioni ne hanno deturpato il nitore più terroso. Poi c’è un microcosmo di erbe officinali e spontanee, puramente aromatiche e benefiche, compartecipanti di un lignaggio contaminante che Fano esercita comparando e sincronizzando stili & ricette dal calco esterofilo, con la materia prima di filiera. Il fattore esperienziale si accentua ancor più nell’improvvisazione “live” della cucina, tutto può cambiare le carte in tavola, anche last minute, spiazzando perfino l’aplomb di Stigliano :” vi servo altro pane in vista del prossimo piatto” ma in realtà la pietanza successiva in un battibaleno è stata sostituita...e pensare che ad agire in cucina, c'é il solo Gian Maria.
“Non volevo fare il cuoco è la professione che ha scelto me. Sono figlio di intere generazioni di albergatori e questo indubbiamente si è congregato al mio percorso. La curiosità che ha sempre spinto e accompagnato i miei viaggi è stato un input fondamentale per inseguire i miei desideri e rintracciare nuove culture : ho lavorato sia in locali di fine dining che ristorazioni più pop, prediligendo costantemente la varietà.

scorfano mazzancolle e funghi sogliola


Nella mia cucina appare indubbiamente un forte legame con la Francia, non che non ci abbia mai lavorato, ma è in primis una relazione radicata nella cultura di Bologna e che nessuno si è mai occupato di esplorare. Nel 600 il primo libro di cucina francese tradotto in lingua italiana, fu pubblicato guarda un po’ proprio a Bologna. Questo rimpallarci di ricette probabilmente è iniziato molto prima, con Caterina De Medici o con gli scambi legati al Papa”.

Il pane a lievito madre peraltro arriva dall’amico Maolo Torreggiani, oramai guru dei nuovi lievitisti sulla scena locale, evolvendo millemila blend di farine. La nostra degustazione (cinque portate a 55 euro) si avvia con i tessuti carnosi e persuasivi dello scorfano, maturato e massaggiato, elegantemente delicato al palato previa leggera affumicatura sulla bocca del camino durante il pre servizio, il pomodoro con la sua acqua a sfumare acidità, la crumble di pane per il sostegno croccante. Il mélange gastronomico tra la cultura francese e quella orientale è più che evidente dal punto di vista tecnico, dalle testure sui vegetali, ai brodi orientali, perennemente in coerenza sull’antispreco o shojiin per dirla alla giapponese. Prosegue il crudo sulla cannocchia in un doppio servizio parecchio interessante : emulsione di lievito, shitake, dashi di whiskey mela e cannocchia affumicata per un fendente aromatico, fragrante, minerale, corroborante quasi terapeutico e ripulente; in combo la mazzancolla cruda adagiata ad un sensazionale hummus di ceci e olio di gamberi, pairing di spicco, in cui il sentore iodico viene ammorbidito dalla dolcezza per risalire sul finale dalla tempra marina dell’olio, ottima amalgama di consistenze (viscoso e allappante) e di temperature, intromettendo un’esplorazione orientale alla freschezza quotidiana dei mercati ittici nostrani.
In tavola la sogliola, il pesce di “lido” dell’infanzia per gli emiliano romagnoli, quella che preparava la nonna per intenderci, anche perché non dimentichiamoci che siamo pur sempre all’interno di una casa della nonna anni ’70. Al fianco la zucca leggermente affumicata, cavolo cappuccio ma l’atout è la salsa al vino rosso quasi emulsionante, con i capperi e le uova della sogliola a rigenerare completamente l’emblematica e caratteristica delicatezza del soleide; ed in generale il complesso del morso che rischierebbe di risultare troppo minerale e adamitico progredisce la concentrazione dei sapori di tutti gli alimenti.
Stupisce il fusillone, turgido e glutinico quasi essenzialmente scotto, il consommé gioca in estrazione sui calamari, talmente malleabile che quasi passano inosservati e il mandarino che odora il piatto riuscendo a non pervaderlo, a contrastarlo la grattugiata ruspante e salata della ricotta di Salvatore Cottu, artigiano limitrofo capace di allevare biologicamente 200 ovini di razza sarda. Il percorso si conferma un crescendo continuo, calamaro saltato in padella servito sulla cappella del fungo shitake alla brace, uno stampo fac simile in doppia consistenza, xo sauce ricavata da pancia di cinghiale, interiora di gamberi e funghi, essiccati e reidratati per un umami apparentemente denso quanto “sgrassante”, in riduzione; un terra-mare finale che chiude ad hoc il percorso. Il dolce finale a ripulire, tartelletta alle castagne con granita all’arancia per freschezza, detergenza e sempre equilibrata dolcezza, sempre contestualizzata.

fusillone calamaro crostata

 

La discesa nella cantina privata, spalanca una selezione esaltante, recuperando annate rare ed etichette supersoniche, c’è anche il biliardino per la convivialità domestica del fine pasto che prelude inevitabilmente di rispettare le regole del gioco al fine di evitare rullate sconvenienti dritte sulla collezione di Rinaldi.
La scelta di Gian Maria Fano non è un caso specifico, molti talenti della cucina contemporanea stanno ragionando con la medesima autonomia, ci viene in mente Tommaso Tonioni che ha abbandonato la cucina di Achilli al Parlamento dopo la stella, rifugiandosi in un’Azienda Agricola, per non parlare di altrettanti stellati nel centro-nord Europa della medesima filosofia. Dovrebbe riflettere questo fabbisogno, ricercato nel contatto diretto con i cicli della natura e dei suoi tempi, di questo espatrio da meccaniche aziendali che probabilmente stanno ingrippando il sistema. Gian Maria ora si muove a mano libera e leggera, spiana una cucina democratica, priva da qualsiasi dottrina. Perché d’altronde, la filiera corta dei nostri colli non può convivere nel 2021 con frontiere metropolitane? Domanda che sicuramente non si sono posti gli stranieri che sedevano nel tavolo difronte durante la mia visita. Cucine sui nostri colli che finalmente stanno prendendo una piega più giusta, sincera e contemporanea abbandonando proposte ingannevoli e dozzinali. Mamo però resta talmente unico e istintivo in tutto che merita vita lunga e perdurare nel tempo, l’augurio è che tra qualche anno non ci rimanga in mano solamente una bella favola troppo coraggiosa.

 

cantina

MAMO CUCINA
Alain Chapel's kitchen when mom is around - Restaurant Maison
Località Castell'Arienti 4, 40136 Bologna
for reservation : www.mamocucina.com 

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