un'idea di: Marco Salicini
Ricette autoctone, piatti storici d’origine talvolta medioevale della tradizione che hanno segnato la storia, oramai scomparsi dalla maggior parte dei menù dei ristoranti e trattorie di Bologna città. Se i piatti più conosciuti e autorevoli dei menù bolognesi li potete ovviamente trovare quasi ovunque, girovagando tra le tavole tradizionali : cubi e spuma di mortadella, crescente e gnocchini tra i pani, tortellini in brodo, tagliatelle al ragù, tortelloni burro e oro e burro e salvia, lasagne, passatelli, crescentine e tigelle, cotoletta alla bolognese, gramigna alla salsiccia, polpette al sugo, tortino di patate, zucchine ripiene, coniglio e faraona, fiordilatte, pinza con la mostarda, zuppa inglese, torta di riso, mascarpone, salame al cioccolato e sfrappole, ce ne sono alcuni che compaiono in pochissimi menù e altri che invece sono ancora parte integrante della storia di un ristorante.
TORTELLINO GOCCIA D’ORO
Una delle ricette più antologiche della cucina bolognese vede la firma di Vittorio Zurla, pioniere e innovatore di moltissime influenze gastronomiche, partite proprio a tre passi dalle Due Torri. Al Pappagallo, record place di stelle michelin e celebrità nell’albo d’oro del capoluogo emiliano, è tornato trionfalmente uno dei piatti di punta grazie alla dedizione del patron Michele Pettinicchio che dopo aver studiato a fondo gli archivi ha applicato qualche accortezza per alleggerirne il manto. Il tuorlo gioca a tal proposito un ruolo fondamentale nello sgrassamento di panna e parmigiano, amalgamando il tortellino al mignolo premiato come “tortellino d’oro” nel 2019, rigorosamente fatto a mano dalla sfoglina Felicia. In superficie per omaggiarne l’imponenza, la foglia d’oro commestibile. Zurla lo lanciò negli anni ’40, captando intelligentemente le connessioni in quanto a burro e cremosità con la cucina francese. Nel menù del Pappagallo peraltro figura un’altra “imperdibile” come la lasagna goccia d’oro (ragù bianco, salsa mornay, tartufi, funghi e brunoise di culatello) e anche gli oramai dimenticati cannelloni, oltre alla galantina servita con zabaione salato e coriandoli di giardiniera, e i tagliolini in doppio brodo di cappone. Tornando ai goccia d’oro, indubbiamente anche al Bitone, altra pietra miliare della ristorazione cittadina, resta un piatto di punta inscalfibile dal menù.
CARRELLO DEI BOLLITI
Uno dei simboli gastronomici della città per antonomasia, probabilmente l’emblema del Ristorante Diana che come una volta, mantiene intatto il servizio al carrello di copertina e doppione di Manzo, testina di vitello, lingua, zampone, zampetto, gallina, cotechino e codone. Uno dei rituali più affascinanti della cucina bolognese oggi è fortemente in disuso : questione di richieste sì ma anche di tempi, costi e dinamiche che lo richiedono. In via Volturno, all’interno della Bibbia gastronomica del centro storico, risplende come un tempo direttamente al carrello, lasciando arbitrio al commensale di scegliere le parti preferite. In accompagnamento puré, salsa verde (peperoni, cipolla, capperi, prezzemolo e olio extra vergine di oliva), cipolline in agrodolce e mostarda. Rimanendo bene o male nei pressi delle Due Torri anche Da Bertino dagli anni cinquanta ad oggi ne rispetta e conserva il rituale con il comparto di arrosti incluso (prosciutto di praga, vitello, capocollo con friggione, sformato di verdure, mela fritta, pomodori gratin, fagioli in umido) analogicamente alla Cesarina, al Carracci del Grand Hotel Majestic e al ristorante Bolognese nei pressi della stazione. Al Diana inoltre potrete trovare la galantina in gelatina con quenelle di insalata russa e i tagliolini in brodo. E’ bene sottolineare quanto in realtà il lesso durante l’inverno venga proposto da molte ottime insegne cittadine ma che più o meno tranne nei casi appena citati, venga servito direttamente al carrello ma piuttosto porzionato direttamente sul piatto o al bicchiere.
SCRIGNO DI VENERE
Le etichette di “Bologna la grassa” e “Bologna mangia di tutto” passano attraverso questo piatto, lipidico – libidinoso – opulento per eccellenza. L’origine dello scrigno di venere a Bologna risiede laddove oggi è terra di vita studentesca/universitaria. Un tempo difatti c’era il mitico Al Cantunzein, uno dei tanti ristoranti borghesi di fama, abituato a servire vip e celebrità di taglio nazionale e internazionale. Dalle mani della cuoca Maria Gaddoni nacquero piatti rivoluzionari per l’epoca, che oggi i più guarderebbero sbigottiti, visto che le tendenze attuali della cucina si stanno muovendo proprio controcorrente alla struttura e all’utilizzo di certi condimenti. In origine lo scrigno era un timballo di pasta sfoglia farcito da tagliatelle, ragù, besciamella, prosciutto con aggiunta di tartufo. Siamo a metà degli anni ’60. Un piatto complicatissimo per la preparazione, la difficoltà della cottura, l’accortezza delle dosi. La gastronomia di via saragozza “La Fermata del Gusto” ne ha fatto il suo marchio di fabbrica, utilizzando la pasta brisé e sostituendo le tagliatelle con i tortellini pasticciati con ragù e besciamella. L’interminabile golosità voluttuosa che ne suscita l’assaggio ha fatto centro sulla clientela, tant’è che Franco Marinelli e il suo staff ne hanno creato varie declinazioni. La prima volta che ho assaggiato lo scrigno però è stato in provincia, ai piedi dei colli di Sasso Marconi al ristorante Nuova Roma (uno dei migliori indirizzi tradizionali in assoluto) : lo scrigno avviene solo su prenotazione e vale assolutamente la pena provarlo. Recentemente notiamo che altre gastronomie l’hanno ripreso ed è anche uno degli ultimi innesti nel menù della trattoria Irina, della chef Irina Steccanella, a Savigno.
ZUPPA IMPERIALE
Una ricetta di grande fascino anche per la genesi e gli aneddoti storici : venne ispirata dalla minestra austriaca krinofel e giunta in Emilia ai tempi del ducato di Maria Luigia. L’utilizzo di burro e parmigiano, visti i costi, la faceva inevitabilmente rientrare nelle cucine domestiche più borghesi. Nei periodi più freddi i bolognesi l’hanno assaporata saldamente durante i pranzi della domenica, con il suo inevitabile tocco saporito e ricostituente. I cubetti spugnosi che dalla consistenza ricordano in parte quella del pan di spagna vengono ricavati da semolino, burro, uova, parmigiano reggiano e noce moscata e vengono ultimati in cottura al forno. Come ci racconta lo chef Daniele Bendanti di Oltre, ne esiste anche un’altra versione atavica, con aggiunta di mortadella ma non è il caso del ristorante di via Majani, davvero uno dei pochissimi che in città la propone sia come benvenuto che come primo piatto durante l’inverno (ma in estate diventa anche un complemento di piatti più creativi). Il brodo è di cappone. Altri ristoranti che non l’hanno dimenticata sono la Trattoria via serra, Le Golosità di Nonna Aurora e a memoria ne segnalo qualche validissima versione in provincia come all’Osteria Numero 7(Rastignano), al Nuova Roma(Sasso Marconi), Taverna del Cacciatore (Castiglione dei Pepoli) ma ecco, mi preme sottolineare come indubbiamente molti altri fuori dalle mura cittadine sicuramente la omaggiano decorosamente.
TORTELLINI ALLA PANNA
Cesarina, Il nome di uno dei ristoranti più storici e conosciuti del centro storico bolognese, ubicato da sempre in Piazza Santo Stefano è dedicato proprio all’autrice (a quanto si apprende dagli storici e dai gastronomi) di uno dei piatti più golosi dei ricettari petroniani. La leggendaria Cesarina dopo aver conquistato innumerevoli clienti nell’Osteria di via degli Albari, traslocò nel dopo guerra prima in via dè Fusari e dal 1947 in quello che attualmente è il locale gestito con successo dalla famiglia Montanari, aperto 7 su 7. Qui a ritmo di tortellini, passatelli e tortelloni conquistò la Guida Michelin in quella che segnò una rivalità epica con La Nerina. I gastropuristi e le mode attuali stanno mano a mano offuscando questa ricetta dai menù, rielaborata in crema di parmigiano (che dosa più leggerezza esprimendone la territorialità) a testimonianza di quanto la panna in cucina venga intravista con maggiore scetticismo rispetto a quelle che sono le esigenze della clientela attuale e l’approccio dei cuochi contemporanei. Alla Cesarina il tortellino alla panna è un “signature dish” e dalla carta non mancano nemmeno altre pietanze antiche della storia gastronomica felsinea.
BALANZONI
Ultimamente i fantastici balanzoni hanno ripreso terreno sia nei laboratori di pasta fresca e gastronomie che nel ventaglio di proposte dei cuochi/ristoratori. Pasta chiusa ripiena verde con gli spinaci nell’impasto, ripieno sapido e ampolloso a base di ricotta, mortadella, uova, spinaci, parmigiano reggiano dop e pane grattugiato più sale e noce moscata. Un ripieno altisonante di grande caratura a cui va dato un attento dosaggio e scelta degli ingredienti. Una versione infallibile la trovate nell’area quadrilatero alla Trattoria Gianni presente in città dal dopo guerra : l’ottimo cuoco Michele Roda inoltre conserva altri piatti popolari come gli gnocchi al ragù. Per i balanzoni a Bologna vi suggeriamo anche Al Cambio, Trattoria Collegio di Spagna, Trattoria Via Serra, Oltre, La Salsamenteria e Polpette e Crescentine. I condimenti possono essere con crema di parmigiano, al burro o “burro e oro” ma ne troverete anche un’interessante versione di pesce dello chef Francesco Carboni (Acqua Pazza) con ripieno di coda di rospo, burro tostato al granchio rosa e julienne di verdure.
GRAN FRITTO ALLA BOLOGNESE
La ricetta n 175 riportata nell’Artusi parla di crocchette fini : pezzo di magro di vitella stracottata, cervello lessato o cotto nel sugo, fettina di prosciutto grasso e magro. Le trattorie e i grandi ristoranti a cavallo tra gli anni ’60 e ’90 ampliavano il repertorio, servendo al vassoio un cabaret decisamente opulento che oggi fungerebbe quasi da piatto unico. Difatti in pochi si azzardano a strutturarlo e comporlo come un tempo, faticherebbe indubbiamente a trovare un filo logico con le altre pietanze del menù e con alta probabilità ad ottenere una richiesta da parte della clientela, consona ai preparativi. La pastella e la panatura d’origine non hanno mai badato troppo a sgrassare, ricoprendo formaggi quali mozzarelline, emmental, gruviera, ali e fegatini di pollo, festa di tacchino, cervella di vitello, costolette d’agnello, lombo di maiale, salvia, funghi, zucchine, cavolfiore, crocchette di patate, anelli di cipolla, fiori di zucca, melanzane oltre ovviamente alla crema fritta. Discorso a parte per lo stecco alla petroniana che in molti menù è stato complice della ricetta ma che in origine fa parte della storia più recente : sono cubetti di mortadella ricoperti da una panatura infilata a stecco con altrettanti quadretti di formaggio (emmental, groviera, fontina..). Il gran fritto alla bolognese non è mai estinto dai menù della Cesarina e dal Diana, alla Trattoria Valerio addirittura è uno dei piatti principali, così come nel caso del Pellegrino di via Augusto Murri mentre Trattoria Leonida propone cervella e zucchine fritte. Una versione attuale la riserva Merlino il Mago della Farina, il pastificio con cucina dello chef Dario Picchiotti : qui lo stecco “magnum” alla petroniana riveste un ruolo a parte; ci sono anche i tortellini fritti, le olive al contrario, polpette, anelli di cipolla, jalapeno e pop corn di pollo; si possono assaggiare unitamente nel Cono Merlino mentre al Casamerlò, le cervella fanno parte di una divertente presentazione.
BACCALA’ ALLA BOLOGNESE
Una delle tante ricette che un tempo rientravano tra i punti di forza ed ora sono incredibilmente estinte nei menù dei ristoranti bolognesi è quella del baccalà e ci potremo soffermare su come oramai l’influenza ittica del mediterraneo abbia preso il sopravvento anche nelle abitudini culinarie domestiche. La ricetta peraltro è la n 507 del manuale Pellegrino Artusi; Daniele Bendanti cuoco e titolare del ristorante Oltre. (via Majani) la rilegge avvicinandosi all’originale presentandola stabilmente nel menù invernale : il baccalà viene prima fritto con farina, successivamente immerso in salsa al pomodoro con sedano carota e cipolla e presentato su letto di polenta tracciando lucidamente un’ideale delle cucine di campagna. Rispetto a ciò che accadeva nelle case o nelle trattorie, l’umido non viene sfaldato direttamente intero per ore nel sugo che in questo caso è preparato a parte e immesso successivamente con il pil pil del baccalà (che ne elasticizza il sapore). Altre versioni innovative rientrano in carta da Massimiliano Poggi (un piatto eccezionale) e Al Pappagallo. Da Oltre nel menù primaverile, riaffiorano le memorie di Bendanti ma anche di tante cucine di casa con lo spaghetto al tonno, presentato in una versione più raffinata (la pasta in questo caso è al torchio, dettaglio che in realtà visto l’utilizzo delle uova ricadeva anche in altre cucine di campagna). Sul “riuso” della pasta nel ricordo di tutti permane la bontà della pasta “del giorno prima” : pensiamo ad esempio alle tagliatelle ripassate “fritte” in padella con un filo d’olio ad incentivarne la crosticina. Una meraviglia di gusto e oggi la trattoria Le Golosità di Nonna Aurora gestita da Aurora Cavina e dal figlio Davide Franchini, ne riporta uno dei piatti più gettonati nel menù, unitamente alle crescentine fritte (tra le migliori della città) e ad altri piatti rustici e popolari come le fagioli con le cotiche e la pasta coi fagioli.
LE RANE
Come per le lumache, anche le rane fanno parte di quelle abitudini evocative connesse alle cucine di campagna di una volta. Un cosiddetto piatto povero, dal sapore fortemente delicato, di cui principalmente se ne mangiavano le coscette. Vengono spellate ed eviscerate, sbiancate in acqua fredda e rassodate per poi venire fritte o cucinate in umido. Nella ristorazione del capoluogo bolognese è una bella sfida trovarle ancora, sono l’icona della Trattoria Paradisino (che le frigge con i pesciolini “birichini” di fiume), cambia il discorso già fuori dai confini della città, dove figurano diverse tavole specializzate proprio in rane e lumache, come l’800 a Funo di Argelato, Trattoria Bortolotti, Trattoria Fiesso, Trattoria Venturoli.
DOLCI
Sarebbe prolisso e ingeneroso rintracciare o citare tutti i forni e le pasticcerie che propongono i dolci più tradizionali. La storia gastronomica felsinea lo sappiamo non si è mai concentrata eccessivamente in pasticceria, anzi se vogliamo davvero parlare delle dolcezze “bandiera” ecco che compaiono il certosino e in questo caso voglio citare il pan spziel dell’intramontabile Bar Billi sotto San Luca, il budino di Minerbio conservato con orgoglio da Atti in via caprarie, i deliziosi africanetti che potrete trovare in tutti i forni di San Giovanni in Persiceto, la Torta di Tagliatelle (tra le altre, pasticceria Vogli a Molinella). Rientrando sulla ristorazione che è un po’ il fulcro di questo articolo, mi soffermerei sulla torta di riso o degli addobbi, dolce a base di riso cotto nel latte, uova, zucchero, mandorle, cannella e scorza di limone; difficilissimo per cottura e concentrazione degli aromi. Per via della sua consistenza (talvolta sbagliata) oggigiorno non rientra nelle grandi favoritismi della clientela ma seppur in minoranza, onestamente sono diversi gli indirizzi che la propongono nei menù del centro e della periferia bolognese. Personalmente ammiro particolarmente la versione della Trattoria Bertozzi : la ricetta segreta proviene direttamente dai ricettari della famiglia di uno dei due titolari Alessandro Gozzi. Curioso invece notare come un altro dolce che abitudinariamente rientrava anche nei miei fine pasto dell’infanzia, come le ravioline con la mostarda, venga servito al Ristorante Rodrigo, altra pietra miliare del lungo corso bolognese, recentemente ripartita con una nuova motivata gestione.
IL RITORNO DELLA LASAGNA BOLOGNESE OTTOCENTESCA
La ricetta è risorta grazie al connubio tra il gastronomo e scrittore Luca Cesari e il patron della trattoria stellata Amerigo 1934, Alberto Bettini, che da marzo la integrerà in menù. Cesari nel suo libro "La Storia della Pasta in Dieci Piatti" edito da IlSaggiatore, a pagina 203 ci ricorda come le prime lasagne bolognesi venivano condite con spinaci lessati, tritati e conditi con un sugo di carne, che nella versione di magro è sostituito con cipolle soffritte, burro, erbe aromatiche e spezie varie.