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INTR10
un'idea di: Marco Salicini

 

 sala grande

Risplende magnificamente la primavera nei tre ettari di terreno a Villa Zarri : l’atmosfera è quella di un Chateau Relais : prati perfettamente pettinati, statue fanciullesche, fiori, l’imponenza aulica di una villa cinquecentesca ornamentata di affreschi e componimenti barocchi e la porzione sempre più florida dedicata all’orto e alle erbe officinali, sempre più centrale/vocativa/indispensabile per lo chef Agostino Iacobucci, frontman dell’omonimo ristorante stellato all’interno della casata di mr. Fini Zarri, patriarca del brandy – eccellenza cittadina. La cucina di Iacobucci volteggia con la medesima munificenza : un grandissimo cuoco della ristorazione bolognese ha raggiunto un livello di maturità, indipendenza e personalità rilevante e sempre più indispensabile. Diventano oramai lungimiranti gli anni in cui stagione dopo stagione, il macaron della Michelin viene confermato ed ora inizia pure a stare stretto.
Iacobucci qui a Bologna ebbe il merito di importare, da pioniere, quel timbro stilistico mediterraneo con successo, fin da subito; la sua testimonianza incoraggiò peraltro altri (bravi colleghi) che tutt’ora presiedono le cucine di ristoranti gourmet a creare un filone di stampo campano – aprendo una corrente ed una correlazione con la cucina emiliana. Iacobucci però in questo triennio è uscito dalla sua (altolocata) comfort zone, sta mostrando senza veli e sempre più a fondo la sua vibrante espressione, un’appendice confutata nel contatto naturalistico con la materia, aggiornando – arricchendo e completando lo schema di piatti nuovi – lanciati nell’ultimo biennio e che dimostrano con quanta estasi riescano a strutturarsi. Una ribattuta netta e tagliente ai mormorii che punzecchiavano i menù trascorsi di essere routinari. E invece è proprio qui che lo chef di Castellamare ha mostrato grandiosamente al pubblico le sue doti : se il calibro tecnico è sempre stato maiuscolo ed ora diviene ancor più argomentato, mirabile; l’executio autoespressivo divampa e rapisce suggestivamente e gustativamente proprio a partire dall’exploit sul vegetale.

ingresso tavolo distillati
In alto la sala principale | L'ingresso della struttura | Mise en Place | Il carrello degli amari tra cui compare la grande liquoristica di Fini Zarri

La morfologia che ha caratterizzato il leitmotiv dei percorsi degustazione più affermati a cui è susseguita la fama dei piatti più iconici è diventata parte di un capitolo della sua carriera trascorso; Iacobucci non è più solo freschezza, luminosità, estetica, eleganza e armoniosa rotondità dei sapori campani è fuoriuscito ambiziosamente da un decalogo comunque importante, etichettabile a una grande scuola, condivisa con i suoi amici e colleghi Di Costanzo – Esposito – Cannavacciuolo per non parlare di Mauro Colagreco, di cui ritroviamo perfino una traccia nei nuovi piatti. Assumono nitidezza – per via delle qualità esecutive adoperate poderosamente in cottura – l’essenzialità di Romito, la Francia nelle salse e nei fondi, la purezza di Iaccarino, il progressismo dello stesso Colagreco; ma il menù Esplorando ha l’identità, scibile, di Iacobucci in ogni ricetta. Ed è quasi spiazzante il rapporto qualità prezzo, parametrato alla location e collocato al livello gastronomico, che apre a più ragionamenti soprattutto dopo l’inevitabile innalzamento dello scontrino medio da parte dei ristoranti di fascia più bassa : qui Emilia, Campania e Vegetariano viaggiano su 83 euro per ben otto portate; mentre il menù in questione 109.

appetizers 1 appetizers appetizers completi
Amouse Bouche

Gli amouse bouche, come sempre, sprigionano minuziosamente il ventaglio dettagliato dei temi e delle percezioni in un sol boccone, amplificate in un percorso sempre increscendo : la scala avviene dalla finta parmigiana di melanzane al nero sferificata, la crocchetta di agnello impanata col panko e poggiata su una salsina verde a base di erbe dell’orto, i coni di pasta fillo farciti con un cremoso di formaggio caprino a strati, liquirizia, topinambur e pesce bianco a seconda della stagione marinato con degli agrumi. Tacos di mais con avocado e tartare di tonno rosso con gel di agrumi a completare, i ravanelli fermentati serviti con maionese di ostrica ed ovviamente il macaron versione bolognese con pistacchio nell’impasto e mousse di mortadella nella farcia, perfettamente friabile. Perfino i suppellettili degli appetizers hanno aggiornato le proprie vesti, seguendo filologicamente le trame delle successive portate : mineralità, dolcezza (perennemente in equilibrio), acidità citrine, feniche e vegetali, nuances iodiche, temperamento dei grassi, croccantezza, caglio e perfino qualche preview anatomica, in sottrazione. I bon bon di genovese poi iniziano ad incidere miratamente al palato, virando tempestosamente sull’intensità : carne stufata e ribollita con cipolle servita con una tartare di fassona e chips di parmigiano reggiano per allietare e trattenere dal seguito.

pani tarallo benvenuto
Il servizio dei pani | Il benvenuto

Impossibile ignorare le perizie lievitiste e gli impasti candidi capaci di trasferire quella solenne fragranza campana applicata con un riguardo sulla digeribilità praticamente sciamanica. La formosa e attraente pagnotta a lievitazione naturale con farina semi integrale servita alla temperatura più congrua, i cracker salati con semi di papavero e sesamo sul crunch al pari degli invitanti grissini alla torinese con olio nell’impasto ed il must have, il tarallo con sugna, mandorle e pepe nero saporito, coriaceo e mirabilmente friabile. Il complesso dei pani diventa ancor più lussurioso acclimatandolo ed intingendolo col burro salato di Normandia. Ouverture delle nuove frontiere, pur sempre ammirevoli delle basi classiche talvolta amministrate con lucida e raggiante modernità, lo scaturisce il cucchiaio avvolgente di fagioli bianchi, ricotta di bufala, ricci di mare e olio a rosmarino – arruolando gli antipodi in un mix fin da subito significativo per concepire il processo analitico intrapreso anche per esaltare le proprietà e l’allineamento degli ingredienti.

La sequenza vegetale sorge dalla genetica di un orto che lo chef ha ideato, accudito e coltivato assieme a due agricoltori, piantando 60 varietà di ortaggi e verdure, più di 20 tipologie di erbe officinali, raggiungendo un organismo botanico dilatato : quattro tipologie di menta, quattro specie di fagiolini di cui il bianco arriva direttamente dalle coltivazioni di Mauro Colagreco, le dieci razze di pomodori campani e oramai qualsivoglia vegetale pensiate e c’è perfino lo zafferano. Il tepore del sole che lo persevera, nei picchi della stagione, trasmuta lo status quo del raccolto, ottimizzandone la prestanza anche attraverso ad un nutrimento terroso salubre e rispettoso : l’organico vegetale composto dalla raccolta di erbe lasciate a macerare crea un compost naturale intorno alle piante, i 20 quintali di letame vengono stesi e non rimane alcuna traccia di concime, lasciando lavorare il terreno 8 mesi all’anno.

sedano rapa anguilla cavolo
Sedano Rapa | Anguilla | Cavolo Rosso

Sbalorditivo l’arricchimento maturato dalle ricette vegetariane, in un solo anno : un complesso di ingredienti orchestrato con estro sublime che diventa prorompente, ribattezzando integralmente quei piatti idolatrati dalla clientela negli anni che seppur evergreen ed eterei, non appaiono più così indispensabili. Ed è uno step verso il futuro importantissimo.
Il sedano rapa, sinuoso ed elegante, cotto al sale grosso, assimila fino all’orlo gli umori sulfurei; l’effetto è di un carpaccio finemente croccante che rimembra le sensazioni di un pesce, vegliando sulla freschezza. E’ un gioco-omaggio correlativo all’amico Mauro Colagreco che tra i bestseller propone un rafano con latticello e caviale, qui affievolito con un cremoso di mandorla, le uova di trota per la spinta iodica e fumé, l’olio ricavato con il prezzemolo del giardino; la centralità aromatica amministra il tutto.
Si prosegue con un inganno estetico : ciò che di primo acchito parrebbe una selvatica misticanza acre, svela l’anguilla su cui lo chef nel corso dei cambi di menù ci ha abituati a rivisitazioni ed integrazioni sempre in espansione. L’Anguilla di Comacchio qui viene sfilettata, marinata e leggermente affumicata smorzando il sapore intenso. Si scialla sulla crema di frutta secca, cialda di alghe, salsa ponzu e aceto orientale, tocco di agrumi ad aromatizzare. La girandola di scosse sequenziali è compenetrante e sconfinata, tanto pare irreale la pulizia finale, sintomo del fatto che qui vige una cucina dalla linea retta e dalla coscienziosità cospicua : l’agro, l’amaricante, il balsamico corroborante, le divergenti acidità ed il croccante a scaricare l’erbaceo; tempesta e quiete.
E’ già rivelazione e collocabile tra i piatti dell’anno il cavolo tardivo dell’orto, riempito, redarguito ed educato da un unicum veggie espresso da scalogno, rabarbaro, selezione di erbe spontanee, lievito di birra secco (che incalza un ruolo determinante dal punto di vista tecnico e fermentativo) ed una salsa ad irrorare in servizio, eccellente, a base di latticello ed aringa riproponendo ai massimi il binomio sfidante tra la nouvelle vague vegetariana dello chef e quell’indole maiuscola nell’estrarre a sorpresa gli umori marini e trattare le specie ittiche. Il bagaglio culturale peraltro si è elasticizzato pur custodendo la classe di sempre sulle salse rincuoranti, in questo caso sapida ed intensa alchimizzando i contrasti.

seppia raviolo napoli incontra maialino
La seppia | Il raviolo di nasturzio | Napoli Incontra l'Emilia | Maialino di Mora Romagnola

Il capolavoro tecnico e fisionomico avviene però con la seppia che supera un processo lungimirante e variegato di cotture e temperature dopo essere stata tagliata a pezzettini : viene cotta nella pappa al pomodoro con erbe aromatiche, scaturendo un sincretismo tra il dolciastro ed il fendente acido, viene ricoperta da una spuma di aglio dolce tanto intensa all’olfatto quanto delicatissima al palato, il dressing -caricaturandolo a macchia di cappuccino- è dettato da lime, aglio nero in polvere e salsa al nero della seppia stessa. E’ fugace l’attendibile impatto sapido, scivola per un nanosecondo quasi sul rancido, esplode il salmastro, spezzato poi dal piccante dell’olio alla n’duja : metaforicamente la ritirata ed il risucchio di un'onda che s'infrange sugli scogli. La consistenza viaggia dall’emulsione al viscoso, un formidabile processo in estrazione e sottrazione, nobilitando un approccio atto al recupero dalla discendenza poverissima.

Stupisce per lunghezza il raviolo di nasturzio (a fine pasto, percorrendo l’orto, Iacobucci ci mostra la piantagione scelta per questo piatto): la pasta chiusa è ai tre latti, arrovellata su una foglia di nasturzio, erba cipollina, liquirizia e un brodo di topinambur pienamente terroso e detergente da sorseggiare come un tè nero dopo il boccone. Pure nelle paste, s’appropria l’orto, diagnosticando un timbro minerale che pareva impensabile in questa voce, fino all’ultima visita.
L’epilogo è l’Agostino Iacobucci che conosciamo e che ha raggiunto fama e riconoscimenti proprio grazie a questi piatti autoreferenziali (ricordando che non è un fattore scontato). Il Napoli incontra l’Emilia, capitolo di vita, un abbraccio affettivo e caloroso tra i due massimi delle rispettive tradizioni : la galante sfoglia emiliana per il tortello racchiude l’esplosione succulenta - quasi ematica - del ragù napoletano scomposto nella sfoglia, viene grammata in superficie nelle dosi corrette la salsa al pomodoro cotta col ragù stesso, densificandone la dolcezza, spuma di parmigiano alla base, gel di basilico per un tocco raffinatissimo a riallineare la sapidità.
La grazia e la raffinata delicatezza con le quali viene addomesticata la parte grassa potrebbe essere ricollegata quasi ad una mano femminile, tant’è gradevole la levità avvertita a fine pasto, pur non badando a rinunciare agli zuccheri. Difatti anche il carattere agreste del maialino di Mora Romagnola, cotto lentamente, trasuda scioglievolezza palpeggiando le papille, in contrasto ad una cotenna croccantissima che ne esalta il morso su cui viene versato espresso il jus; per pulire in acidità; cremoso di sedano rapa, agretti, gelatina di kumquat. Basterebbe un attimo per stancare l’appetito in una chiusura agli albori ruspante ma che invece continua ad intrattenere con il simultaneo timbro ripulente.

babà gelato sfogliatella pasticceria arachide nocciola
Il babà a tre lievitazioni | Gelato allo zabaione | Sfogliatella | Pasticceria

Si giunge quindi preparatissimi all’irrinunciabile babà a tre lievitazioni, oramai santificato : un fungo ampolloso dalla pasta sottile, ariosa e malleabile, sverginato da zuccheri e alcool. La spuma al doppio latte e i frutti rossi con il loro jus, guarniscono e assecondano. Poco prima l’efficienza del gelato allo zabaione, sale affumicato e crumble di cacao per cui in altri contesti si perderebbe volentieri la ragione, dulcis in fundo una coda di aragosta sfogliata sontuosamente ricoperta di una crema fotonica e tutta la patisserie : vista su Sorrento dalla tartelletta limoncello e yuzu, il marshmellow al passion fruit cotto, la madeleine al cacao con cremoso all’albicocca, ed il divertentissimo finto arachide e nocciola.
In sala rimane impressa l’aplomb ed il savoir faire del maitre Ambrogio Luiselli, oramai professionismo in via d’estinzione, che coordina e guida uno staff di giovanissimi perennemente attento ed educato. La cantina spopola sulle celebri maisons e le rinomate etichette italiane, suscitando le attenzioni dei gourmet.
Filtra una luminosità rasserenante dalle vetrate della sala, il riflesso di un parco da Corte contestualizza idealmente una cucina che eleva il fine dining bolognese meritando attenzioni frequenti da più parti dello Stivale.

villa zarri orto orizzontale

RISTORANTE IACOBUCCI
* Stella Michelin
Via Ronco 1, 40013 Castelmaggiore (BO)
0514599887
www.agostinoiacobucci.it 

 

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