un'idea di: Marco Salicini
Vertigini, vibrazioni. Era tempo che simili impulsi, ondulazioni e propulsioni non drizzavano le mie corde emotive palatali e cognitive all’interno di un percorso gastronomico. L’occasione è stata unica, una cena maiuscola organizzata da Turespana tra gli ambienti di Casa Mazzucchelli. La mission degli spagnoli è quella di esportare l’immagine più autentica e autoctona dei rispettivi territori rappresentati dagli chef d’eccellenza. Ventiquattro ore a prima a Milano, la chef Alice Delcourt di Erba Brusca ospitava Maria Busta di Casa Eutimio. Gli ambassador valenziani ci presentano con sprono e solarità – un invito sottinteso ad intraprendere il medesimo percorso – dialogando nella nostra lingua, come grazie all’ascesa di Quique Da Costa, sia nata una corrente ed un collettivo di cuochi devoti a promuovere i dogmi di un vademecum stilato sui principi di etica, sostenibilità, tracciabilità, rispetto e trasparenza sulle materie prime artigianali. Il comprensorio si ramifica amalgamando similitudini legate alla metrica ed alla filosofia con chef di tutta Europa. Ma il fil rouge con l’Italia è alquanto speciale, qui a Bologna precisamente non è stata e non sarà l’unica situazione di questo tipo. Il flusso prolifico aeroportuale ha raggiunto una continuità rilevante, così com’è altrettanto primordiale, l’essenza di un ecosistema spartito dalla biodiversità da cui intercede, affiorando, la cultura. “Vivaddio” penso tra me e me, pregando gli interpreti di illuminare ed approfondire nei rispettivi tavoli di confronto i nostri rappresentanti. Gli spagnoli stanno facendo ciò che da anni sogno e rivendico a casa nostra; le istituzioni hanno investito, hanno avuto i consigli e le competenze per relazionarsi con gli interpreti brillanti e visionari delle nostre cucine. Il match è stato un crash stratosferico tra due microcosmi : Maria José Martinez, una stella Michelin al Lienzo Restaurante di Valencia è atterrata dai Mazzucchelli, giusto per rinfrescarci la memoria quanto sia una benedizione averli a Bologna. E’ bastato un interscambio telefonico avvenuto qualche giorno prima dell’evento per confezionare un menù talmente intenso e prosperoso di contenuti per rendere “La Spagna al Femminile – L’Emilia Romagna incontra la Regione di Valencia” un best seller “gastronautico” dell’anno.
Le due chef durante la presentazione della serata. Gli ambienti di quel che fu il Marconi e l'incredibile cantina.
Da un lato la Martinez coadiuvata da una troupe preparatissima e poliglotta, ha seminato un timbro espressivo autoreferenziale inanellato da una sfilza di rimandi culinari tessuti sull’apicoltura. Passava ore con il padre nell’infanzia tra i campi a recuperare favi naturali ed oggi in quei terreni, vengono prodotti il miele millefiori e di fiori d’arancio, certificati bio, un salvavita per l’area urbanistica di Valencia che dagli inizi del 2000 ne ha vissuto una crisi. Quasi segno del destino, si è resa attivista in prima linea per prendersi cura degli alveari urbani producendo un miele che più autoctono non si può, in cui risplendono gli aromi floreali tipici di una zona attraversata da un ecosistema raggiante : note di rosmarino e di arancio che completano e galvanizzano il sigma delle sue ricette. Ed è l’ape che diventa e delinea una sorgente molto più poliedrica e produttiva rispetto allo stereotipo più comune del miele inteso come dolcificante. Tanto nevralgico ed inusuale per i nostri palati, apprenderne le versatilità che nel corso della degustazione ne ha sviscerato il repertorio : texture, profumi, proprietà benefiche ed antiossidanti, dolcezza al naturale, elemento di conservazione per alimenti; nonché alimento idoneo a fermentazioni, macerazioni e tecniche di cottura poliedriche. Il back to back avviene con l’avanguardia e la souplesse mentale dei Mazzucchelli. Racconteremo prossimamente e a fondo, la forma che ha preso il concept del locale ma tenetevelo bene a mente : com’è sempre stato, l’esperienza che si vive qui non è replicabile altrove. Il tiro non è stato abbassato, anzi. La fusion tra il gastronomico idilliaco di Aurora e quell’arte bianca intrapresa dall’adiacente Forno Mollica (che continua ad avere indipendenza con pizze/bakery/farinacei/piatti emiliani, vegetali e lievitati h24) vengono congiunti dal grano, moto interconnesso alla rarità configurata da Massimo in cantina. Vedete, più di dieci anni fa, venivano proposti piatti che ancora oggi sono avanti anni luce, si parlava poi di orange – naturali – macerati – biodinamici con un credo ed una compiutezza pionieristica su ciò che oggi viene intravisto con maggiore sensibilità. Dalle vetrate s’intravede un orto piantato e coltivato prima che molteplici colleghi decidessero di improvvisare un angolo dedicato alle erbette officinali nel retro del locale. Sala, ambienti, materiali, tavoli, atmosfera e mise en place dalla tempra nordica, che invece ancora oggi rimangono autoreferenziali nel loro stile. La passione che trapassa dagli assaggi o dalle delucidazioni del servizio, non ha nulla a che vedere con l’aspetto “ludico” che è per molti; qui c’è un intero percorso di vita dedicato a questo : una professionalità eccelsa tratta da una dimensione artigianale, maniacale, disciplinata, propedeutica replicata in tutto; dalle tipologie di grani per i panificati o le paste, alla selezione delle materie primi – vini – distillati e così via. I topic ed i parallelismi tra le visioni delle due chef ci sono eccome, i Mazzucchelli hanno sempre rispettato, con dedizione e scrupolosità, la materica. L’effetto divampante e spiazzante provocato dai piatti non si rivela mai spasmodico o impetuoso, la cucina di Aurora è perennemente candida, serafica, una panacea.
Gli snack del Lienzo, il consommè di tortellini, quisquillas de Santa Pola en la cera de miel con crema de maìz, il pane del Mollica.
Tecniche evolute (o ancestrali) atte a ripristinarne i caratteri primigeni a 360°, per odori, testure, cromie, proprietà nutritive/organolettiche e sapori, l’organicità pura, riemerge. Un transfer psicofisico procreato sulla riproduzione dell’ecosistema.
Ma non andiamo/andate a intrufolarci in voli pindarici, visto che se lo chiedete alla chef, vi rimetterà i piedi per terra, sottolineando sì i criteri e la dedizione ma in realtà quanto la semplicità, la gestualità millimetrica ed il minimalismo sono di fondo alla stesura delle ricette. La sinossi è evocativa e personale, ciò che i Mazzucchelli hanno vissuto ed ereditato è uno spartiacque tradotto tra le paste chiuse, le frattaglie, l’emilianità e la mediterraneità di Scicli. Tutt’oggi viene ripreso con un sentimentalismo protetto e filantropico, interagendo fulgidamente con le frequentazioni avvenute nelle cucine di Lopriore, Berasategui, Niederkofler ed un’altra bella fetta di Paesi europei, intercontinentali, dall’Africa al Sud America.
Il concerto tra queste due menti, parte dal consommè di tortellini in brodo, tanto lieve e terapeutico il brodo quanto mai mi era capitato di assaporare un ripieno dalla masticazione così cosciente, fragrante e persistente, avvolto da una sfoglia di una letizia materna.
A sviare invece dal database codificato affabilmente dalle nostre papille, i signature dish del Lienzo sulla tavolozza : i cannelloni con miele di fiori d’arancio, sciroppo, queso servilleta a quattro punte, dove il miele cosparso è utilizzato come una gelatina avvolgente a corrugare la sapidità della crema di formaggio; l’empanadillas di tartare di gamberi bianchi di Valencia nella farcia, varietà di arachidi locali, curry verde posta su una foglia di shiso da intervallare all’assaggio per picchi arborei-erboristici-balsamici spiazzanti, sincopatici ad un primo morso più spensierato, caratterizzato dalle delicate note dolci iodate del proto tacos. Ed è altrettanto folgorante, l’assaggio della terrina di anguilla sotto sale e terminata al vapore, con zucca alcalinizzata e sciroppo, praticamente macerata nel miele di bosco; è posta su un rollé di fico e completata con un flavour caramellato di salsa arropyaki; arrope plus teriyaki per una una bordata di umami. Si inghiottisce poi la sfera di pasta choux ripiena di un paté magistrale, polposo e fondente, di gallina valenciana.
Calamar salsa dashi y crujiente de su tinta, maccheroncino al torchio con ostrica cruda - spinaci - anguilla affumicata, cervo marinato al vermouth e torta di pane
Micidiali i gamberetti bianchi della Lonja di Valencia : la Martinez in prima persona seleziona dai banchi del mercato la merce ittica del giorno. Il processo ermeneutico - ancestrale, avviene nella cottura della cera d’api dei gamberetti ancora nella loro pelle, con il polline croccante. Ne viene eliminata l’umidità, rimangono integri e la texture è nitidamente croccante. Quando si solidifica la cera viene prelevata. La ricetta è completata con il croccante di mais liofilizzato, curry verde, cacau del Collaret, tre punti di rosso d’uovo cotto a bassa temperatura stesturizzato, germoglio di mais. Il croccante a forma di ape è ricavato da riso e polline fresco, adagiata al momento del servizio, una crema elaborata con il mais per corroborare un corredo aitante dalle risolutive note retrolfattive : un esercizio stilistico estremamente creativo ed interpretativo – tecniche ed idee riassunte in un pentagramma agreste e contadino.
Il piatto più antico, inamovibile dal menù del Lienzo è il calamaro cotto a bassa temperatura, salsa dashi, aglio, zenzero, cetriolini sottaceti e tuile in guarnizione al nero di seppia. Un finto tonnarello di calamaro da umettare e mantecare dopo aver spezzato il nero, arrovellando i calamari intorno al dashi ed ai sottaceti. Umami deflagrante, ricolmo di gusto a noi già più scibile e comfort ricollocabile ad una crema di parmigiano o una cacio e pepe se non fosse per quella persistenza marina che si effonde lungo tutto il palato.
Massimo Mazzucchelli tra le due portate poi ha creato un featuring con Casa Mazzucchelli, servendoci una pagnotta di pasta madre con grani antichi siciliani, direttamente da Modica, travasando dai piatti del Lienzo il diktat del suo ristorante; sfidandoci ad integrare i piatti con le acidità lievitiste, gli aromi scaturiti dal grano in side dish.
In men che non si dica ed a tal proposito ecco il cervo marinato a secco con salsa vermouth, ciliegie settembrine lattofermentate ed al fianco la torta di pane con ginepro e mela in pairing con il vermouth di Raina, ulteriormente allungato con un’essenza floreale. Continui rimandi ad alchimie botaniche, sfumature ai frutti rossi, modulazioni amaricanti, rabarbaro, bacche, bosco, spezie.
Ma il pairing ultraterreno è il whisky che importa fumé e iodio all’iconico maccherone al torchio di Aurora con anguilla affumicata e ostriche crude. Lo iodio dell’ostrica è il mare, lo spinacio l’alga, il maccherone che rimane calloso e traslucido dell’acqua del mollusco lo scoglio, con l’anguilla che si nasconde all’interno tra i due cavi deliberando una succosità schiumosa assuefacente. E’ raccontato e raccolto tutto : l’Emilia e il Sud per Aurora, l’importanza nella cottura della pasta per la masticazione – la visione introspettiva - subconscia del mare, abissale e sulfureo, la mineralità nel vegetale come spartiacque sull’accesissima possenza dell’anguilla e della sua affumicatura, la freschezza e la trasfusione iodica dell’ostrica. Eternamente devastante.
Capriolo tosco emiliano con focaccia romana lardo e sedano, gelato di aringa affumicata e maritozzo, Miel Urbano, pasticceria dal Mollica.
Il capriolo tosco emiliano col suo fondo di cottura è in simmetria con la focaccia romana con scamorza grigliata e lardo di Bettella per importare affumicatura e grassezza, raviolino al lardo con purè di castagne e crema di sedano rapa testimoniano definitivamente che non esistono espedienti. La compiutezza morale – gastro didattica sulla rilevanza attribuita ad ogni elemento, che sia un panificato – un condimento – o un vino, testimonia il registro dei Mazzucchelli.
Ancora salato in avvicinamento al dolce, nell’estro sui gelati salati di Aurora qui all’aringa affumicata, acqua di rose, pepe, sale e cialda croccante di rapa per alleviare il palato, ricavando freschezza da spezie e ricami vegetali, la parte dolce è nell’arioso e spugnoso maritozzo.
Conclude una cena stimolante e mozzafiato il dessert simbolo della Martinez che nuovamente solletica ed assetta il nostro gusto all’interno del suo mondo a noi inedito, profuso in questo caso da una dolcezza leggiadra : il “Dolce del Miele Urbano 2003” è frutto di quel progetto sociale intrapreso per salvaguardare l’apicoltura dai centri urbani; il piatto difatti incarna le quattro oasi incontaminate dedite all’apicoltura. Il favo di miele urbano è una ganache con kefir e lime, i favi nelle celle sono ripieni dei quattro mieli della città, poi l’infuso di cera d’api e panna fresca ed infine la cera d’api, un alveare selvatico facoltativo effetto chewing gum.
CASA MAZZUCCHELLI - RESTAURANTE LIENZO
Via Porrettana 291, 40037 Sasso Marconi (BO). Placa de Tetuan 18, Bajo Derecha 46003 Valencia