Sei qui: Gourmettoria Gli orti incantati e gli spazi dell'ex convento. Il futuro dello Scaccomatto, dove una tradizione possente è oggetto di contaminazioni | Trattoria Scaccomatto
un'idea di: Marco Salicini
Più di trentacinque anni fa, la Trattoria Scaccomatto si insediò tra le mura petroniane, spiazzando completamente la platea attraverso una cultura gastronomica, quella lucana, completamente estranea, quasi etnica e distante dal ripieno dei tortellini e dai carrelli di bollito che nel cuore del capoluogo andavano per la maggiore. Uno dei locali (ma soprattutto delle gestioni, famigliari) più longevi che abitano e vivono il centro storico oggi, a differenza di quasi tutti i suoi coetanei, non odora affatto di nostalgia ne lascia segnali di stanchezza, anzi tutt’altro. Mario Ferrara è uno dei più grandi cuochi che abbiamo a Bologna. Gli sono sempre bastati tre ingredienti, minimalismo puro, essenzialità, purezza gustativa, vividezza dei colori, per riossigenare e lambire il palato con una nettezza limpida e cristallina dei sapori primigeni, per quanto risultino al gusto estremamente netti.
Diventa indispensabile avere ancora cuochi che spignattano, pensano, sudano ed elaborano davanti alle stufe con un attivismo curato ed incisivo, in termini di preparazioni e cotture. Come già dissi in passato, se l’anagrafe per Ferrara fosse differente, raffigurerebbe per stilismo tecnico, predisposizione ed orientamento filosofico, le tematiche più discusse ed in voga nella cucina moderna agli occhi delle cronache. Seppur quindi l’immagine e l’operato possa delinearsi a quella di un cuoco di vecchio stampo, la mentalità e la progettualità di Mario Ferrara ne smentiscono le apparenze. L’inserimento fianco a fianco del figlio Simone è stato il passo decisivo per scrivere pagine futuribili e dare lunga vita allo Scaccomatto, trovandoci devozione e sinergia con il dna originario di questa cucina. Dopo l’esperienza in sala al Vicolo Colombina, Ferrara Jr ha fatto le valigie approdando al Luca, uno degli indirizzi gastronomici di punta in quel di Londra, appassionandosi di miscelazione ed approfondendo ulteriori tematiche inerenti alle fermentazioni, al beverage, alla distilleria, alla macerazione, tornando poi in patria per trovare il filone giusto quotato per completare e spronare ulteriormente il percorso del ristorante di famiglia.
Input ed attinenze che hanno trovato un fil rouge imminente durante le estati soavi agli Orti di via della Braina, uno scrigno bucolico senza eguali che incanta i bolognesi aprendo gli spazi di un ex convento delle suore francescane, con orti, coltivazioni, erbe rare ed alberi da frutta. Kermesse culturali, menù più semplici con il medesimo timbro genuino e di freschezza delle materie prime, cocktails salubri legati alle medesime tematiche della cucina : utilizzando gli scarti, azzerando gli sprechi, tutelando la stagionalità e la botanica del luogo e del territorio. Terrosità, nuances acidule e amaricanti che s’incrociano peraltro col ventaglio organolettico di molti piatti utilizzati, replicati nei vini, dove ad oggi è stilata una carta molto interessante, forgiata di piccoli produttori, raggruppati con gusto e sensatezza, annate ricercate peraltro ad un listino sui ricarichi di un’onestà che fatico a comparare attualmente altrove.
E’ un grande piacere tornare alle porte dello Scaccomatto, nella storica sede di via Broccaindosso che potrebbe finalmente aver raggiunto tutti i consensi burocratici per traslocare definitivamente tutto l’anno in Santo Stefano, laddove gli ambienti suggestivi - mistici dell’ex refettorio, persuadono l’immaginario di poter dare vita ad uno dei luoghi più belli dove cenare in città.
Da un lato, il piacere di riassaggiare i piatti più emblematici di Mario Ferrara, la parte storica e culturalmente più profonda e mnemonica, che ritratta ricette poverissime, memorie contadine, materie prime salubri senza filtri – in cui il quinto quarto, le frattaglie e le interiora vengono osannate superbamente. Dall’altro, l’apprendimento continuo di un cuoco che seppur amante passionale delle sue origini agresti e toponomastiche, ragiona con la mente aperta, muovendo una sensibilità intellettuale e cognitiva senza frontiere. Dagli incroci con Bologna, in primis il tortellino ed ora anche la tagliatella, ad una Spagna che lo ha influenzato e dato tanto al pari di Brasile e Giappone, dopo il fianco a fianco con Cammerucci, di cui si riconoscono i tagli e quell’esternazione culminata e riconoscibile di ciò che c’è nel piatto, perennemente rispettato, capace di non ledere mai per ingigantirsi senza sotterfugi.
La partenza con tutti i pani fatti in casa, da cui si deduce la forza aromatica dei cereali e l’ottima fragranza dei grissini. Già l’entreé non passa inosservata, calcando lo schema e la struttura identificabile dello chef : Crema di verza, patate, toma, strega al rosmarino con olio extravergine d’oliva in un viavai di sapidità, freschezza, completata con un croccante che allieta la masticazione.
Tartare di rapa rossa, pesto di rucola, rafano, cremoso di parmigiano con mandorle, latte di mandorle con erba cipollina è l’intro di una parte vegetale che Ferrara ha sempre inciso ed allineato all’interno delle sue ricette da precursore ma che da ora si espone con ancor più vigore ed evoluzione. Al palato una lieta progressione di note lattiche, rinfrescanti, balsamiche, leggermente piccanti in continuo divenire senza render l’assaggio stantio e risoluto, eccellendo peraltro in una masticazione che gode di consistenze ritempranti e ben delineate. Si potrebbe però correggere la temperatura complessivamente fredda degli ingredienti.
Gamberi crudi, emulsione di nespole, passion fruit, misticanza espone il timbro dello chef. Pochi ingredienti, resi al massimo. Il carattere iodato del carapace, tenue e carnoso, l’emulsione tra dolcezza e acidità, la croccantezza rinfrescante e primordiale della misticanza, quanta armonia.
Garusoli già sgusciate cotte nel burro, polenta, olio ai peperoni cruschi accresce il percorso, mettendo in mostra la cottura imperfettibile del garusolo, vispo di terrosità e limosità, imburrito per ingolosirne l’assaggio ed allievare la testura, posato su un letto di polenta che ne avvolge l’assaggio ulteriormente energizzato dalla patina piccante intonata dall’olio ai peperoni cruschi.
Cavolfiore accompagnato dal latte, cotto con i gambi e le foglie per assimilare il gusto, burro d’arachidi è uno dei piatti della serata : la coltre golosa della salsa rinforza di rotondità – saporosità e gusto l’insidioso vegetale su cui peraltro è stata trovata la chiave di volta più corretta in cottura per eliminarne il retrogusto ed una consistenza di partenza insidiosetta. Fa da co-partner il burro d’arachidi, aggancio che rende ancora più comfort e voluttuoso, il complesso.
Il Risoni, nonché ritaglio di pasta di semola grano duro, viene risottato, in aggiunta brodo di pollo, crema di funghi e animelle 50% porcini e 50% shitake per un effetto corroborante, puntellando contaminazioni orientali ad una pasta dalle vesti povere interpretata come piatto di recupero e recentemente riesumata e valorizzata da alcune cucine stellate.
Gnocchi con burro alle erbe e funghi sono pallottole ricolme di morbidezza e lunghezza al gusto, trovando immediata armonia con il condimento replicato.
E’ scelta una tagliatella di farina integrale, piacevolmente tesa e raggrinzita per legarsi con imminenza al bel taglio di ragù di capra battuto al coltello, laddove l’interpretazione della cucina si accentua in un break divergente dettato dal pecorino al posto del Parmigiano e del rafano per settare gli umori del ragù e prolungare note balsamiche che permangono al palato.
A fondo nel quinto quarto con orecchie, musetto, piedini di Mora Romagnola, lumache (Lumaca Unica), oramai un main course. Nella prima parte in cottura, vengono intenerite le carni e tolto l’osso dalla cartilagine. La seconda parte avviene sul fuoco per eliminare la parte grassa a vantaggio dell’acidità, con scorze d’arancia, di limone e aceto di vino a vantaggio dell’acidità, completato con verza e ceci. Ricetta che Mario Ferrara ha dedicato ad Alex Carrera e Cristina Feliu dell’Alianca 1919, raggiungendo un risultato definitivo per l’impatto compiuto alla masticazione, l’incorreggibile bilanciamento tra i sentori più minerali e ferrosi limati dalla parte vegetale e dal carnet aromatico che ne smorza i sentori, rendendo il morso viscoso ampiamente scioglievole.
Un extra gentilmente concesso che mi ha fatto letteralmente sobbalzare dalla sedia è la Cordula di pecora, antica tradizione pastorale sarda, sontuosamente tenera e vertiginosamente intensa, stemperata dalla trippamediterranea di Ferrara, dalla venatura deliziosamente domestica. “Intestini, pancia, fegato, cuore, polmoni venivano tagliati a lastrelle e poi agganciati, lavorati, intrecciati e avvolti. Li cucinano anche alla brace nello spiedo, io qui li ho preparati come una trippa” annuncia lo chef al momento della consegna della portata. Collagene e grassezza assumono un'elegante malleabilità al morso, assimilando sugosità, aromaticità ed attinente acidità in bocconi tutt'altro che spasmodici.
Gelato di zucca, sciroppo d’acero, saba, melograno è compiuto benissimo e con precisione, collegandosi e proseguendo l’identità del menù gastronomico, rapendo l’attenzione attraverso l’umami e per detergere direttamente la bocca ecco anche un fior di latte comme il faut, leggero e profumato con l'arancia candita.
TRATTORIA SCACCOMATTO
Via Broccaindosso 63/b
Via della Braina 7 (in estate)
051263404
www,ristorantescaccomatto.com