Sei qui: Gourmettoria Dall'oste migliore d'Italia, il godimento prorompente dell'osteria emiliana ai massimi vertici | Ostreria Fratelli Pavesi
un'idea di: Marco Salicini
Una corte ammaliante di inizio novecento nata come polo di ricerca per la meccanizzazione agraria, isolata nel bel mezzo della pianura piacentina di Podenzano, avvolta da un’atmosfera poeticamente annessa ai dolci versi di Attilio Bertolucci piuttosto che la melanconia decantata da Ungaretti, con l’impatto visivo degno di un ciak di Tornatore. E già s’immagina all’arrivo, uno scenario malioso disinibendo proiezioni emozionali di un tramonto estivo o di un pranzo eterno senza limiti al convivio.
L’Ostreria Fratelli Pavesi nasce otto anni fa eppure ha tutta l’imponenza e la saggezza per apparire come una tavola storica nel nostro Stivale, seppur nei contenuti prevalga un’assidua brillantezza contemporanea.
E’ il presente invece che anticipa ciò che rimarrà inscalfibile nella storia delle osterie emiliane, quello dei fratelli Pavesi, discendenti di generazioni di osti e ristoratori che nel 2015 decisero di avviare una delle conduzioni familiari più encomiabili nella gastronomia italiana degli ultimi anni. Giacomo sentiva scorrere nel sangue e battere nel cuore il mestiere del ristoratore e di quanto potesse scavare a fondo nell’enogastronomia laureandosi in Scienze Gastronomiche a Pollenzo prima di esprimersi all’Osteria Santo Stefano a Piacenza. Contestualmente il fratello Camillo si diplomava all’Alma mentre Giuseppe si muoveva tra le stufe di Eataly e in qualche osteria stabilmente nell’hinterland.
Dopo aver ammirato il patio ed aver attraversato il porticato della cascina, l’ingresso nella Bottega adiacente all’Osteria, oramai sito divino, spaccio dei celebri barattoli con sughi – mostarde e condimenti con il marchio della casa, da cui emerge un’inarrivabile giardiniera, feticcio di gourmand e bottegai. Soprattutto però è esponenziale la profondità della cantina e della rarità di certe etichette : una raccolta devota ai vini naturali senza eguali in regione per i crismi adottati. Appesi nel lungo delle loro stagionature alcuni di quei salumi che una volta a tavola faranno perdere il lume della ragione.
L'arrivo nella corte, la visita in bottega, pane lievito madre con focacce e grissini, mortadella e salami.
La tavola, che vive dell’etologia dell’osteria : calda, coerente, rustica ed informale è sospinta dal carisma preponderante di Giacomo, formidabile mattatore – professionista e mestierante dell’emisfero Pavesi. Frontman dall’acuta perspicacia e dal sapere fondato, faro del servizio senza mai eccedere o districarsi nell’etichetta dell’oste burlesque vecchio stampo. L’emisfero Pavesi, retto dallo strapotere stupefacente dei produttori-agricoltori-allevatori, dell’etica contraccambiata con gli stessi nella selezione zero stress di razze brade ed ortaggi freschissimi e della trasmissione di atmosfera & godimento, viene divulgato dall’oste migliore d’Italia per la SlowFood nel 2019, poco dopo l’assegnazione della chiocciola a solo un anno dall’apertura.
Il godimento scellerato è scandito a dei ritmi, tra cucina-vini-servizio, perfetti.
“L’ossatura del menù è importante, deve avere un suo registro, una continuità ed una dimestichezza con la cucina, per questo raramente cambiamo l’impostazione dei nostri piatti. Giostriamo spesso le verdure chiaramente, qualche taglio o pesce d’acqua dolce a seconda della reperibilità ma voglio che la mia clientela giri e quando ritorni sappia cosa trovare” afferma Giacomo mentre affetta qualche salume.
La culatta di Bettella, il prosciutto di San Paolo, le giardiniere, la tartare con carciofi, parmigiano, olio e pepe.
E si parte dalla magnificenza dei migliori ambasciatori di un territorio straordinario per materie prime, tradizione, ragionando però al contempo anche per biodiversità ed allungando il raggio senza indugi al di fuori dal piacentino. Spiazzati ma al contempo trascinati da un istinto pantagruelico mentre naso, palato e salivazione vengono assuefatti dalla testura e dall’intensità aromatica eccelse nei salumi che accolgono ad uno dei pasti migliori in assoluto che si possono ricordare all’interno di un’osteria. Il formidabile Zavoli fa da padrone nella Mortadella di Mora Romagnola, la Culatta di Bettella stagionata 48 mesi, il prosciutto di maiale nero dell’Azienda Agricola San Paolo stagionato 36 mesi e le tre d.o.p piacentine, coppa (14 mesi)-pancetta-salame stagionate in cantina. Che dire delle venature del grasso, dell’avvolgente velluto e di quella digeribilità quasi lapalissiana anche quando si massaggia avidamente una fetta di salame cremonese, dall’odore quasi d’incenso se non empireumatico, quanto regale alla masticazione. I pezzi grossolani di sedano, carota cipolla rossa, cipolla borrettana, finocchio e cavolfiore che compongono il mosaico della giardiniera a contatto con l’aceto sublime di San Giacomo plus Ortrugo dei Colli Piacentini, blend di spezie e macerazione per un equilibrio inflessibile donato, oltre che dalla procedura, dall’altissima qualità di ortaggi-vegetali e aceto stesso. Le cervella di vitello vengono fritte, ricoperte da una panatura di pane panko recuperata dall’ottimo pane a lievito madre fatto in casa e dei fragrantissimi (concedetemi il neologismo ndr) grissini homemade. Frittelle allineatamente croccanti e diligentemente prive di unto proprio perché l’umidità è recepita dalle gustosissime cervella, in combo a spinaci per rinfrescare con mineralità.
Le cervella di vitello fritte con spinacino e limone d'Amalfi, il tagliolino ed il plin con le animelle, pluma di Mora Romagnola con le sfiziosissime patate.
Un marchio di fabbrica sovente della cucina è il cappon magro raggruppando filologicamente, per lo stile della cucina, il pesce di acqua dolce (storione o salmerino) a seconda della disponibilità. E’ quasi un trompe-l’oeil l’impiattamento, di vividezza e cromaticità : rapa rossa è sbollentata al vapore, il pesce in olio cottura, pane bagnato con olio e aceto, salsa verde all’antica (prezzemolo, pane, acciuga, tuorlo d’uovo) e guarnizione con tuorlo cremoso di gallina. “Nasce come piatto povero, un pesce grezzo di mare, il pane inzuppato, l’uovo sodo, addirittura nell’entroterra lo facevano con il coniglio. Tra poco arriverà la mia versione preferita con asparagi e zucchine di stagione” racconta, servendolo, l’oste.
Sulle paste i cavalli di battaglia sono due : il tagliolino fresco 30 tuorli con storione bianco di Calvisano ammaestrato meravigliosamente in cottura, per mantenerne integra la consistenza e la delicatezza, la bottarga di caviale Calvisius come coltre/guarnizione prelibata ed il fumetto al burro che lo lega sinuosamente per bocconi raffinatissimi pieni di gusto. Sul plin al coniglio, la ricetta è da orbita, ispirandosi – modificandone ed interpretandone in parte la combinazione del piatto – da uno dei sacramenti gastronomici di Balzi Rossi. Viene completato con animelle saltate al madeira Barbeito, timo fresco e olive taggiasche, lasciando quasi increduli per l’esaltazione e la percezione calcata di ogni singolo elemento. La definizione poi di pesci o del quinto quarto in questo caso e delle riduzioni è indiscutibilmente magistrale. Scenico il piatto bandiera porzionato al momento : la bomba di riso da condividere in cinque persone. Anche in questo caso subentra il registro esecutivo della cucina e le attitudini dei Pavesi nello slegarsi dai canovacci dei ricettari più mastodontici, imprimendone una linea personale. La suggestione arrivò da Andrea Grignaffini, racconta sempre G.P. con il riso quindi risottato, dalla testura quasi al salto. Un timballo con jus di piccione e piccione (per il brodo del riso vengono utilizzate le carcasse ndr), porcini, stratificati da una crosta ricavata dal proprio pane, spessa e croccante mentre secondo le origini era più fine e lasciava spazio ad una farcitura più unta e condita.
La bomba di riso in servizio, il gelato che conclude la cena, in copertina il cappon magro e una prospettiva della Bottega
E’ l’emblema della selvaggia tanto amata dai Pavesi come i tagli meno nobili ma sui secondi, c’è spazio anche per le costate, sempre quelle dei produttori al top e per la pluma di Mora Romagnola di Zavoli che vi dimostra quanto può essere inutile reperire razze più blasonate, quando suini autoctoni “nostrani” dilagano una succosità veemente, ammettendo che probabilmente un maiale così buono, non lo si è mai mangiato prima. Unitamente un radicchio eccezionale condito con qualche goccia d’aceto, salendo d’invecchiamento, sublime. Non c’è nulla di inarrivabile dal punto di vista tecnico e strumentale, il lignaggio glorioso fa parte di una cucina dalla meccanica assoldata e da materie prime folgoranti, come quando un break post antipasti, ispirò una tartare saignant e ritemprante, con carciofi croccanti e rinfrescanti, scaglie di un parmigiano rinvigorente alla stagionatura più attinente ed olio a drappeggiare il piatto.
Il pacojet conforma la consistenza fastosa del gelato alla vaniglia, cioccolato e sale a solleticare in contrasto (a volte la crumble è ricavata dalla spisigona) intinto con aceto invecchiato 12 anni Aragosta per una piacevolissima nuance umamica d’acidità. Un pasto senza freni e senza stenti, risulta clamorosamente digeribile, testimoniando ancor di più l’efficacia di una cucina totalmente salubre correlata tra l’approccio dei fornitori e la manodopera degli chef. La storia della nuova ristorazione emiliana tra presente e futuro davanti agli occhi.
OSTRERIA FRATELLI PAVESI
Località Gariga 8 - Podenzano (PC)
0523524077
www.ostreria.it