Sei qui: Gourmettoria La Lumira : i nuovi piatti illuminanti, nella storia emilianoromagnola di Borsarini | Ristorante La Lumira
un'idea di: Marco Salicini
Crocevia della food motor valley, tra la Lamborghini, la Ducati e la Ferrari, la diatriba del tortellino, il cuore che pulsa verso gli orizzonti felsinei e la Romagna poco più in là. La Lumira a Castelfranco Emilia racchiude un emisfero ricchissimo di elementi ed alimenti, prosegue com’è noto, di generazione in generazione tra gli incisi culinari della famiglia Borsarini. Encomiabile ne è la testimonianza che Carlo Alberto, chef e patron, riporta all’interno di una locanda dal passato rigoglioso; perpetua nel continuare a riprendere ed apprendere un lignaggio capace di aggregare i connotati di un’intera regione volutamente “senza trattino” per dirla alla Borsarini, valorizzando al contempo la territorialità castelfranchese, ponendo un accento in termini di tracciabilità.
La dote comunicativa del Borsa, che in cucina coadiuva sapienza, acume ed attualità, abbaglia e permane al cliente con grande immediatezza. Per quanto le fondamenta dei piatti continuino a traslare rispetto e virtù per le tradizioni, focalizzando la tematica del ricordo, la storytelling personale è estremamente affascinante e funzionale in termini di identità del cuoco e coerenza con il menù, assente da qualsiasi traccia di ego. Riconoscibile lo stile sia in termini di presentazioni ed estetica dei piatti, quanto nei sapori, in grado di sprigionare un’alchimia fine e sottile degli ingredienti, prendendo atto di una sensibilità ed un tatto per le materie prime decisamente ammirevole.
Passano gli anni ma i bestseller della Lumira (che attenzione, non si limitano ai 3-4 di circostanza ndr) sono intramontabili come le risorse e la grandezza del territorio circostante. Piatti eterei quali i tortellini in più versioni (in brodo, impanati o ricchi e poveri con il brodo di fagioli – in generali tra i migliori in assoluto nei confini bolognesi e modenesi), le tagliatelle verdi con piselli e ragù di manzo, il coniglio con la polenta, la cotoletta con l’arvaja dal gergo popolare, riscovato da sempre con orgoglio e significato, fino alle signature – su tutte di impeto – la parmigiana reggiana che a differenza della stragrande maggioranza dei cuochi, continuano a nascere ed affermarsi, girovagare magari tra i menù delle stagioni, riapparire e trovare nuovi piatti, dei quali alcuni hanno tutto il carisma necessario per essere ricordati ed assaggiati. Aspetto importantissimo per consacrare ad ogni visita, la certezza che la Lumira oltre che a risanare ciò che di unico pervade attorno a questo luogo, ha ancora un dialogo aperto e lungimirante su ciò che esiste ma non è ancora stato detto.
All’atto pratico N’Uovo che nell’ultimo menù ha calzato le vesti di una carbonara scomposta con uovo poché, spuma di pecorino, pancetta croccante n’è un esempio ma molti divampano dai ricettari più recenti che a parer nostro riescono ad avere, per struttura e caratteristiche, qualcosa di molto importante da lasciare, addirittura in più rispetto ai precedenti.
Ricette che non sono assolutamente fini a se stesse e ricalcano a menadito quegli aspetti che introducevamo poco fa, esternando il legame culturale annesso alla gastronomia. Elemento imprescindibile quanto raro, che Carlo Alberto non tiene segregato per sé stesso ma relaziona in campo, attraverso kermesse – appuntamenti – iniziative, coprendo il ruolo di ambassador del tortellino come presidente della nota associazione di cuochi che da un paio d’anni ha raggiunto una Deco storica, in più.
L'ingresso immancabile con la tigella | Lo sgombro marinato | Coccabella
Con i piedi ben trapiantati in Emilia il pasto è avviato dalla goduriosa tigella ben piastrata e croccante farcita con lardo e parmigiano reggiano, seguita dalla crescente fatta in casa, soffice e gustosa, in equilibrio di sale ed impermeabile all’unto, accorpata al pane di Merlino del collega Picchiotti : “ Ha realizzato un pane bolognese, con barillini – filoni ed altri formati campanilisti, ridando un significato alla panificazione nostrana“ afferma Borsarini.
L’ultimo periodo che per varie vicissitudini l’ha visto a contatto stretto con la cucina, ha comportato risultati illuminanti. Mai un piatto elementare o sottotono a partire dal filetto di sgombro con la giardiniera – richiamando appunto radici e tradizioni dei piatti poveri : “ E’ un prodotto fin troppo decaduto nelle abitudini domestiche, oramai ci siamo abituati a mangiarlo in scatola, eppure con qualche accorgimento esprime il suo sapore. E’ una tecnica che ricorda i soli pesci che si consumavano in pianura, i pess birichèn, immancabili nel giorno della vigilia. Pulisco gli sgombri e rilavo i filetti poi in padella con fili di cipolla rossa, acqua e aceto di vino. Quando prende bollore tolgo e faccio raffreddare naturalmente, poi prendo i filetti di pesce e li metto sott’olio, ovviamente qualche giorno in frigo giova”. Lindo e materico il "Coccabella" : mozzarella di bufala ed il suo siero, latte di cocco, fondo bruno, pomodorini confit ed arrosto per un procace contrasto di temperature ma soprattutto di accensione – in termini di sapidità – del pomodoro, intonato dal fondo, sulla freschezza estiva della mozzarella, alla faccia della monotonia di una caprese. Evocazioni, aneddoti ed omaggi che tramite una cucina raccontano un territorio, a proposito di valorizzare e dell’incredibile ruolo veicolare di cui può e deve fungere un ristorante, subentra in tutti gli atti del “Mille e una notte al Kiwi” , il risotto allo zafferano con kiwi macerato al gin, campari e Vermouth. “Il Kiwi fu una discoteca importante ed indimenticabile a Piumazzo. E’ in disuso da anni e ne sono rimasti i ruderi. Lì attorno c’è un piccolissimo pezzo di terreno coltivato, dove un piccolo produttore produce zafferano, da lì ci estraggo il risotto, praticamente un km 0. I Kiwi vengono presentati in diversi formati e macerati in osmosi con gin, vermouth e campari, praticamente un Negroni cocktail scomposto in omaggio al locale. Il risotto viene prima cotto in brodo di gallina e poi mantecato con poco parmigiano e burro all’arancia, in superficie durante il servizio vengono aggiunti i semi di papavero per il richiamo al Kiwi ed il fiore dello zafferano come guarnish”.
Mille e una notte al Kiwi in due atti | Salame Rosa con salsa tonnata e limone candito | Strawberry Fields - in basso
Come andava tanto di moda apostrofare anni fa, l’effetto del piatto è quasi afrodisiaco, ponderando un gusto ed una timbrica identificativa della ricetta davvero unica. “Il kiwi viene utilizzato pochissimo, ho fatto qualche ricerca e solamente Crippa recentemente ne ha creato una ricetta” dichiara Borsarini.
E’ uno sciabordio di sfumature e nuances eclettiche (anche aromatiche) in alternanza : l’intensità e la secchezza dello zafferano in contrasto con l’acidulo del kiwi distillato a rinfrescare, conformandosi al palato, l’astuzia dell’abbinamento cocktail-frutta che nel caso del kiwi, calza proprio al pennello con il binomio dolce e amaricante del Negroni cocktail. La persistenza a fine piatto, che permane e continua a solleticare il palato è allietante. Da riassaggiare. Ma si rimane oltre che appagati anche sorpresi dall’apparente semplicità del salame rosa, delineato da un significato antico sulle origini, mantenendo un legame poetico tra le radici antesignane e la visione contemporanea : “ E’ una ricetta che sottolinea il legame tra l’Emiliaromagna ed il maiale, da sempre spacciato come vitello tonnato”. Ed infatti la consistenza del salame rosa si approccia a meraviglia a garantire l’intenzione del piatto : sapidità, morso e grassezza in combo con la salsa, puntellate da picchi di acidità, citriche, allineate dal limone candito e dall’acetosella che riveste un ruolo decisivo per il piacere complessivo del piatto.
Oramai mi ripeto, quando si giunge al piacere finale di un menù dalla Lumira, si attende con enfasi i dessert pensati con la medesima linea del gastronomico. La linea di pensiero è difatti la medesima, da una zuppa inglese cubica di impatto, al sensazionale life on mars, piuttosto che il babà emiliano, permangono proprio come i piatti salati. Altrettanto rimarcabile, come la sequela delle nuove ricette, lo Strawberry Fields : namelaka al cioccolato bianco tostato e fragole all’aceto balsamico, imminente nel rimembrare sentimenti, approcci, reazioni ed attenzioni primigenie al dolce - mai una nota di zuccheri fuori posto, se non impegnata al piacere complessivo. Decisivo l'accorgimento applicato al cioccolato e se le fragole sono così dolci e prestanti, beh ancora meglio. In sala, oltre che dal cuoco, si viene accolti da un rodaggio inscalfibile intrapreso con mestiere e tatto da Concetta e Marco, due figure che in servizio, garantiscono le medesime certezze della cucina. La carta dei vini ha raggiunto la sua dimensione migliore : un insieme del gran bel bere assemblato con grande gusto (senza confusione ed eccesso nella lettura) a prezzi invitanti, scrutando gli champagnes.. e di questi tempi sta diventando cosa più unica che rara.
LA LUMIRA
Corso Martiri 74, Castelfranco Emilia (MO)
059926550
www.ristorantelalumira.com