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INTR10
un'idea di: Marco Salicini

 

 SALA GRANDE

La constatazione, appena usciti dopo la (lunga) degustazione dell’ultimo menù di Agostino Iacobucci è che da tempo, da molto tempo a Bologna non si raggiungeva un livello di questo tipo. Oramai il macaron che con meriti, talento ed orgoglio lo chef di Castellamare custodisce da 23 anni (prima alla Cantinella di Napoli, poi alle stufe de I Portici e qui a Castelmaggiore) sta stretto. E’ piuttosto forte la sensazione che questa struttura in generale, possieda decisamente tutti i canoni per aggiungere quel tassello in più sulla Guida Rossa. Preme sottolinearlo per tante ragioni : Iacobucci ha mantenuto le promesse, probabilmente andando addirittura oltre; qui nella reggia di Villa Zarri corre parecchio, progredisce e stupisce, stagione dopo stagione. Non si è né fermato né arreso alle sue signature che già lo hanno reso noto e apprezzato, all’interno dei circuiti gastronomici più ambiti, tra kermesse – banqueting e manifestazioni a cui aderiscono i nomi più prestigiosi dell’alta cucina italiana (e non solo ndr). Per di più la sala charmant ornata da affreschi, tende drappeggiate, lampadari, vasi lussuosi e mobili d’epoca pare sempre più principesca, fresca, luminosa e ammaliante. Al pari del progetto, che contro tempi alquanto arcigni per la cucina gourmet, progredisce. Da tre anni, poco dopo l’avvio del gastronomico autografato Iacobucci, lo chef esprime il suo “io”. L’accoglienza difatti è incentrata nell’orto, tutt’altro che una meteora aggrappata alle mode del vegetale a quanto pare, visto che è la sorgente naturale imprescindibile della cucina, vive e risplende dalla primavera all’estivo quando dai terreni coltivati annessi, le cassette raccolgono zucchine, decine di varietà di pomodori, peperoncini e peperoni, melanzane e fagiolini, asparagi, porri, friggitelli, cipolle e varietà botaniche di erbe officinali. A coltivare e mantenere questa sorgente green sempre più prolifica ed imprescindibile ci sono i ragazzi di Joan Crous della Cooperativa Eta Beta, al centro di un progetto di inclusione sociale, che in questo caso passa anche dall’arte agraria.
Lo annuncia con entusiasmo Iacobucci, che non vede l’ora di mostrare ai suoi ospiti il proprio orto durante una passeggiata di fine pasto digestiva, laddove l’organico vegetale lasciato a macerare crea un compost naturale con letame di cavallo disteso intorno alle piante, lasciando “lavorare” e riposare il terreno otto mesi all’anno.
E’ un’atmosfera da maison francaise coordinata dal maitre Ambrogio Luiselli, spalla fedelissima dello chef praticamente dal debutto dello stesso sotto le Due Torri, portatore di una professionalità, unita al gusto per le mise en place, al portamento profuso in sala, facenti parte di una scuola ahimè sempre più rara da replicare. La cantina, restando in tema, ha compiuto un passo importante, virando in controtendenza agli investimenti sempre più restii ed in difesa che legano la ristorazione all’ampliamento delle referenze. 700 le etichette in carta, a cui è stato introdotto un numero importante e significativo di biodinamici e naturali, ampliato dal sommelier Giuseppe Fogli, ideali per un pairing che sui piatti amplifica i caratteri sempre più predominanti, dei vegetali.

SALA IACOBUCCI AMBROGIO
L'atmosfera principesca della sala | Agostino Iacobucci | Ambrogio Luiselli


Vegetale che nei percorsi a degustazione è interfacciato in dieci portate nel “Vegetariano” che come per i classici, si stima a 95euro, mentre il mano libera Esplorando – di dodici portate – a 119, traducono un rapporto qualità prezzo - e contesto - aggiungo io, che potrebbe aprire lunghe riflessioni su quanto si sia ridotto il confine tra esperienze di questo tipo ad una cena in trattoria con un paio di bottiglie di vino nella media.
Ma l’imprinting sul vegetale non è l’essenzialità gustativa né tantomeno un assolo; fa parte di una sfida, di una filosofia applicata ad un raggio d’azione di tecnica, conoscenza e talento assai distinguibile da una lista corposa di cuochi bravi ed affermati. Combacia e confluisce con la varietà e la precisione di tecniche di preparazione e cottura utilizzate, dell’estro quasi materno per l’arte bianca e la lievitazione, la personalità che rimane sia nell’interfaccia per i vegetali che per la storytelling che dalla Campania si congiunge a Bologna, raggiungendo poi risultati importanti nell’eleganza francofona evidente sui volatili, filtrata perfino su pesci, sul calibro delle salse, nella memorabile ed inconfondibile pasticceria, fino ad una componente estetica che non lascia mai indifferenti.
Accoglienza, beatitudine e levità al palato, in cui l’ingrediente conferisce di freschezza ed espressione rinvigorente dei suoi sapori e delle sue proprietà, combaciate in ricette tutt’altro che semplicistiche come in realtà potrebbe apparire ma proprio per la coscienza e la conoscenza con cui vengono strutturate, ciò viene reso possibile, evitando perennemente di sottrarre la tonalità e la godibilità del gusto.
Il livello del pasto è altissimo, per cura – capacità- identità e sequenza in tutto ciò che arriva a tavola. Ed è la tavola il centro di tutto, come ricorda proprio lo chef augurandoci buon appetito : “ Vanno bene le lunghe tovaglie bianche e la scenografia della sala che subirà per giunta un ulteriore ritocco ma voi siete a tavola e passerete le prossime ore qui ed è proprio su questo tavolo che si concentra tutto ciò su cui abbiamo lavorato”.

BENVENUTO 1 BENVENUTO 2 PISELLI 1 PISELLI 2
Il benvenuto | L'intro dell'orto con il pisello protagonista


In termini di concentrazione, consistenze e temperature è addirittura migliorato il benvenuto, da cui si possono già anticipare e comprendere tante preview stilistiche e personali dei piatti che seguiranno. Bocconcini che racchiudono i flashback campanilisti ed evocativi “mediterranei” dello chef, la purezza incontaminata del vegetale, l’importanza per la dolcezza e l’aromaticità, l’avvicendamento a Bologna. Il tutto racchiuso in deliziosi e soavi snack ricamati di friabilità. La finta sfera di parmigiana di melanzane al nero gelificata con foglie di basilico che implode in bocca, il bon bon di agnello in crosta di pane panko in contrasto alla salsa alle erbe amare, il cannoncino di pasta fillo alla caprese con ricotta di bufala, gel al pomodoro e basilico, il tacos croccante di mais con cremoso di avocado, tartare di tonno, gel allo yuzu, poi il ravanello fermentato per la pura freschezza agitando acetosità ed acidità con mayo all’ostrica ed infine il macaron ultra friabile col pistacchio nell’impasto e la mortadella nella farcia per l’umami nostrano.
L’orto multiforme e multicolore si concentra nel pisello, lavorandolo all’estremo in tutte le sue parti commestibili. Il pisello in “diverse forme e versioni” nel ricordo dell’infanzia dello chef, cresciuto tra le campagne e le coltivazioni di famiglia è tradotto in un gelato in assoluto di piselli (ricavato dai baccelli) rifinito col suo germoglio ed il suo fiore. Accanto la tartelletta croccante fa da piedistallo al pisello fresco sgranato su ricotta di bufala e caviale per un mormorio di consistenze rigeneranti, in continua accensione ed infine a detergere e rilassare, l’elisir di finocchio, mela verde, cetriolo con punta di zenzero per scialacquare la bocca ed accentuare ulteriormente il carico vitaminico. Balsamicità sopite.
Trionfale la manodopera sui panificati che la rende uno dei tanti assi nella manica di virtù ed appartenenza. La pagnotta calda, semi integrale di grani antichi a lievito madre per i profumi, la fragranza ed il crunch in equilibrio della crosta e la lietezza armonica della mollica, il grissino torinese finissimo stirato a mano con olio extravergine d’oliva, il cracker anch’esso fatto a mano, di sesamo bianco e nero con semi di papavero e sale Maldon e l’inconfondibile e attesissimo tarallo napoletano sugna – pepe – mandorle tritate. Posa al fianco la noce di burro di Normandia semi salato.

PANE ORTO OK FUSILLI CALAMARO
Il servizio dei pani | Il nostro orto colori, consistenze e sapori | Penna, zucchine, gambero | Calamaro, granchio, pompelmo rosa, curry


Di materica sartoriale, scrupolosa, il mosaico di crudità, nonché una sinossi dell’orto. “Il nostro orto colori consistenze sapori” è uno schema variopinto e variegato delle coltivazioni, un mix di freschezza terrosa, minerale e virginale, giocando in purezza sui ricami croccanti dei tagli dei vegetali cotti in osmosi tra acqua e ghiaccio, per una croccantezza perennemente accentuata alla masticazione, tanto nitida ed adamitica quanto dimenticata. A regolare acidità, pungenza e nuances amarognole, la salsa al pistacchio ed una salsa orientale più complessa, ricavata con agrumi orientali e siciliani dal retrogusto dolciastro.
Interessante, avanguardista e di struttura forbita la penna, zucchine e gambero. Fake pasta con penne rigate di zucchine su cui posa una bisque intensa di gambero, mayo di gamberi, gamberi in purezza e crema di zucchine con variazione di cinque tipologie di zucchine. Un allaccio della pasta al vegetale, ponendo in primo piano la zucchina in tutte le consistenze possibili, réclame se non input, in tandem ai cromatismi dell’incipit sul vegetale. Forbito difatti, il sapore cucurbitaceo della zucchina che metaforicamente passa dall’amido all’elaborazione della crema, duettando con i fendenti salmastri della bisque per trovare relax in termini di masticazione e temperature tra l’essenza iodata del gambero in purezza.
Il calamaro è un concentrato di marinità, modellata sulla sua pelle più vischiosa è farcita all’interno con ragù di granchi per la polpa, confit e gel di pompelmo rosa, bisque al curry vivificante sul primo assaggio più delicato, di cui comunque permane il volteggio tra lo iodio e l’agrume, oltre ad una tenerezza del cefalopode risultato di un’abnegazione edotta nel pre cottura.

ANGUILLA RANA PESCATRICE SEPPIA NAPOLI INCONTRA EMILIA
Anguilla con emulsione di ponzu,tosazu,pinoli,gel di yuzu e misticanza al gin | Rana pescatrice camouflage di peperoni | Seppia | Napoli incontra l' Emilia


Ai postumi di un impatto elevato sulla curiosità e l’anatomia dei primi piatti, approdano uno dopo l’altro le ulteriori creazioni (a mente fredda ndr) più potenti. Formidabile è l’Anguilla di Comacchio leggermente affumicata con emulsione di ponzu e tosazu, pinoli a conferire il sollecito croccante ad un primo assaggio più vischioso, gel di yuzu e misticanza al gin per spronarne l’aromaticità, catalizzando il gusto erbaceo. Sciabordio di umami, in cui non manca nulla, partendo proprio da una grassezza dissolta dagli altri ingredienti e che si percepisce imprescindibile proprio in termini di gusto, ponderando peraltro una persistenza in bocca, lodevole ai postumi.
Un’ulteriore prova di spicco subentra nella rana pescatrice, cotta e frollata nel burro di nocciola per preservarne ulteriormente tutti i caratteri organolettici, incidendo magnificamente nella testura e nei sentori. Viene adagiata su un camouflage persuasivo di peperoni, sfidandone l’aggressività, virando ancora in sottrazione. Poi la mayo ai ricci di mare per riprendere e combinare di puntellate salmastre il pesce a vantaggio della delicatezza.
E’ diventata una signature poderosa ed irrinunciabile la seppia, mimesi di un cappuccino di mare, anticipata da un procedimento propedeutico e minuzioso : ai postumi di cotture divergenti viene smussata e cotta nella pappa al pomodoro con erbe aromatiche, poi coperta da una spuma di aglio dolce, macchiando il cappuccio da lime, aglio nero in polvere e salsa al nero della seppia stessa a proposito del tema del recupero. Dalla cucchiaiata un atomo di stimoli : sapido, dolciastro, limoso, marino, protetto dall’emulsione per un finale da applausi in piccantezza dettata dall’olio alla n’duja.
Il comfort puro e nobile sulle paste, col must have Napoli incontra l’Emilia, sincretismo trionfale tra gli affetti genealogici dello chef ed il presente e futuro in Emilia. L’eleganza della sfoglia racchiusa nel tortello e nel ripieno di matrice campana, se non che il succulento e dolciastro ragù alla napoletana è di derivazione Mora Romagnola. La salsa al pomodoro è un marchio superlativo, cotta col ragù stesso per la densità e la dolcezza, poi il gel di basilico per la pulizia italica e la spuma di parmigiano 36mesi a completare la parte lattica definendone l’umami.
Il rimando campanilista campano si replica su vesti nobili, una fusion tradizionalista comparata all’eleganza tecnico-stilistico d’haute cuisine. Il tortello è ripieno di coniglio leprino “alla genovese”, laccato con cipolla dolce, cremoso di erbe amare, provola affumicata e tartufo in guarnizione. Pieno, rotondo, appagante, virgolettando ancora il dolce-amaro, il sentore affumicato in aggiunta, lo sprint finemente aromatico.

RAVIOLO CARNE pre dessert 
Tortello ripieno di coniglio leprino alla genovese | L' Agnello in due servizi | Il pre dessert | In basso il babà a tre lievitazioni e la piccola pasticceria


L’ultimo dei salati è l’agnello cotto nel fieno assieme al carciofo posto al fianco e ripassato arrosto, in servizio la pancia laccata col suo jus e cotta al forno, la crema è di castelmagno poi pistacchio e lampone per una profusione che disarma i sentori selvatici. Conferma su tutto ciò che serve, suggellando grassezza-succosità-croccantezza, rinvigorendone a profusione il sapore, tramite l’aromaticità ed i fondi. Da grande table.
Perfino il pre dessert non vuole passare inosservato alzando il tiro e recuperando uno sketch indimenticato proposto nei primi anni a Bologna : foie gras, amarena, bitter bianco e spuma alla mandorla per una disputa insistente tra dolce e non dolce.
Il babà che ha già scritto la storia, affermandosi ulteriormente come piatto dell’anno ed ambendo ad essere migliore d’Italia, si ricompone di grazia e golosità. Tre impasti, re impasti e lievitazioni differenti per un’alveolatura oramai ultraterrena ed un impasto sottilissimo che è comparabile a quello di un grande lievitato. Viene bagnato e non inzuppato, aromatizzato al rhum e agli agrumi, poi crema di lamponi, crema di latte e frutti di bosco per mantenerne l’assaggio performante con intro di freschezza e di acidità.
L’atto conclusivo è l’ennesimo coup de coeur : la piccola pasticceria è un banchetto aureo e sfarzoso. C’è la frolla napoletana con la ricotta, la madeleine all’albicocca, il marshmallow cotto al lampone, il finto arachide e nocciola ed i cannoncini appena farciti alla crema preservati caldi, che lo chef stesso porta al momento al tavolo, abbattendo i peccati di gola.
Tentazioni che incombono col carrello degli amari e distillati, tra cui, ca va sans dire, la linea di Brandy e miscelati targata Villa Zarri; la patria del Brandy che ospita tra la sua dimora di 500mq la sala cinquecentesca di Agostino Iacobucci, in cui filtra perennemente la luce di un parco alla francese, lusso incomparabile alle porte della città.

 

BABA PASTICCERIA

RISTORANTE IACOBUCCI
Villa Zarri - Via Ronco 1, 40013 Castel Maggiore (BO)
0514599887
www.agostinoiacobucci.it 

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