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un'idea di: Marco Salicini

 

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COSA FUNZIONA E COSA MANCA NELLA CITTA’ DEL CIBO.


Si parla e si discute tantissimo di cibo e di ristorazione sotto le Due Torri, un argomento entrato nella quotidianità delle chiacchiere da Bar, alla pari del : “Come va il lavoro”, “Come sta tuo figlio”, “Il Bologna Calcio sta andando bene” e così via.
Magari è cosi dappertutto, certo che a Bologna, in particolare, abbiamo assistito ad un vero e proprio exploit di pubblici esercizi nel centro storico. In concomitanza ad un aeroporto gonfio e stracolmo che traghetta turisti come mai è accaduto nella storia, allungandone la permanenza per qualche giorno in più rispetto al passato. L’entertainment in una città piccola e confortevole, priva di grosse strutture che ne possano giustificare ore di visita (come ad esempio accade a Firenze, Venezia, Torino, Milano, Roma..)in ambito storico e culturale, risponde all’affluenza turistica covando locali e quartieri, fortificati dall’atmosfera magica e distinguibile, che protraggono il tempo dei visitatori esterni in più aree del centro storico. Per questo il dibattito “gastronomico” diventa centrale, partendo chiaramente da basi fondate e profonde, radicate all’interno di una tradizione possente interconnessa ad un territorio brillante, che ha ancora tanto da dire e da divulgare.
Si è mosso qualche passo su un marketing che per troppi anni è rimasto fine e chiuso in se stesso : vedi la Dec.Co al tortellino ed al tagliere, l’exploit di certi locali, il dinamismo conseguente alla nascita di nuovi vigneron e dei tanti eventi di cartello in tema enologico, ospitati recentemente in città. L’identità gastronomica più autentica e mirata alla qualità però stenta a decollare e delinearsi, è ancora debole e timida nei confronti dell’estero, pecca inspiegabilmente ad esempio di ospitare ma soprattutto ideare kermesse e fiere sul food capaci di mobilitare pubblico e addetti ai lavori, così come invece accade in tante altre città d’Italia.
Non sono qui a voler creare un noioso ed arcinoto riepilogo storico ma bensì ad analizzare, agli inizi del 2024 come mai ci sentiamo tornati al 2019, quando si muovevano ottimi passi per capire cosa volevamo fare da grandi e come volevamo porci agli occhi dei turisti.
Indubbiamente le istituzioni devono attuare quella scossa decisiva per coinvolgere il bolognese in primis. Il bolognese non è più quello di un tempo. Il costo di un cocktail, di una pizza o di una cena in centro storico è uguale agli alter ego milanesi ed i locali sono pieni. Il bolognese sfrutta la strategia geografica uscendo dalle mura e spendendo nelle altre città, anche in anni difficili di crisi come questo. Ma ha bisogno di essere motivato e coinvolto per performare a casa sua. Il tema dei mercati rionali ad esempio, guardando alla qualità delle strutture e dei professionisti incentivati in MOLTE altre città d’Italia, qui rimane troppo debole e molto sconnesso se pensiamo alle tipologie di attività che sempre paragonate agli standard “delle altre” agiscono con discrepanza ed andrebbero ristrutturati. Quando somministrazione si lega ad arte, musica e cultura stenta ad imporsi con un decoro di un target più internazionale, che sarebbe davvero capace di comunicare ed attirare chiunque.

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I fratelli Aloe di Berberè : un successo internazionale partito da Bologna che ha incoraggiato l'avvento delle pizzerie di qualità. Ruggine, pioniere del bistrot e della rinascita di Piazza Santo Stefano.


Sì è sempre più critici nei confronti di casa propria è un dato constatabile. Mi concentro nel post covid in ciò che a parer mio manca, ai postumi della panoramica appena analizzata ed invece funziona.
E’ molto alto il livello sulle gelaterie, anche maggiore di città più grandi. Per esempio, il Gambero Rosso ha appena premiato i soliti tre, bravissimi ma ci sono almeno altri 5 indirizzi davvero validi. E’ stato fatto un lavoro pazzesco sulla miscelazione ed il cocktail, quasi spiazzante se parliamo di una città universitaria in cui il “cicchettaro” o lo spritz col proseccaccio offre il benvenuto ai debutti della movida serale. In pochissimo tempo sono nati tanti locali serali di personalità e preparazione che hanno preso i giusti meriti e riconoscimenti nazionali e che continuano ad investire e livellare, con prontissima risposta della clientela, oltre al servizio cocktail bar in più ristoranti, insomma in così poco tempo questa timbratura metropolitana era impensabile. Grazie a questi cocktail bar, molte zone si sono riqualificate. L’upgrade è forse fin troppo alto per la pizza che dal fenomeno Berberè a molti altri indirizzi, non pare avere fine. La pizzeria aggrega target poliedrici, è il primo pasto al ristorante dei giovanissimi. Offrire un prodotto di alta qualità per impasto, farine ed ingredienti, in pairing a bevande artigianali come sta accadendo abitua ed allena i palati per i clienti al ristorante vero e proprio di domani. Si è investito sul vino ed ovviamente wine bar, vinerie ed enoteche stanno incentivando anche i più giovani ad investire ed approvvigionarsi di piccole distribuzioni, fornitori eccezionali, prodotti gourmand, creando format conviviali ed informali che lasciano il segno anche alla cultura dell’acquisto/spesa. Grossi passi in avanti anche per lo street food che sta creando un equilibrio salubre ed interessante con i franchising e per la cucina etnica, che soprattutto sulla sponda orientale, sta riuscendo a ribaltare la piaga fusion all u can eat, con proposte ricercate ed autentiche. A fronte comunque di segnali molto incoraggianti, che per i numeri lascerebbero pensare a Bologna con un potenziale per rivelarsi una bella chicca, giovane e incoraggiante d’Italia capace di proteggere la propria tradizione, c’è da fare i conti ancora su un ignoranza ed una banalità avvilente sui salumi, oramai emblema dell’aperitivo per tutti, sempre in confronto alla quantità di locali presenti e poi in primis sulla cucina tradizionale. Aprire un’attività nel 2024 è un passo coraggioso per chiunque, lo sta diventando anche per i grossi gruppi quando osano. Faticare a trovare un’osteria bolognese diretta da un giovane, con idee, competenze e amore per il proprio territorio però è un problema. Non devono assolutamente sparire quei locali che regalano contesto ed atmosfera ma al contempo non si può vivere solamente di locali completamente fermi da vent’anni per ambiente, fornitori e ricerca. Non può diventare un’impresa rintracciare in centro storico trattorie capaci di offrire comfort e input focalizzati intorno al territorio. Al contempo c’è una tendenza monotematica al bistrot, ibridi factotum, su fac-simile del locale precedente che ha avuto successo per offerta, design ed arredamento (pare sia una mission impossible trovare ispirazioni esterne) ricerca del prodotto. Poi occhio anche al tema dell’hotellerie, rimane ancora ad oggi un tabù per il bolognese ed occhio che come ho vissuto in prima persona, in altri capoluoghi il rooftop, l’aperitivo in hotel, la cena nel ristorante dell’hotel, sono già entrati nelle corde del cliente local. C'è tanta linfa invece in provincia, una bella scossa che ha aumentato l'attenzione per scoprire l'area metropolitana dalla pandemia in poi con tanti nuovi indirizzi e tavole che continuano a crescere e contraddistinguersi. Più dolente il tema del fine dining che probabilmente meriterebbe un articolo a parte e che da tanti anni vede questa città sorvolata dalle principali guide di settore, mentre in altri capoluoghi o province di pari o bassa capienza, i riconoscimenti aumentano.
Continueremo a parlarne.

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Il tagliere dei Salsamentari ed il Presidente dell'Associazione Tourtlen Carlo Albero Borsarini, entrambi detentori ed ambassador della De.Co.

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